lunedì 22 settembre 2014

Sfagno e corteccia

Ormai "l'oggetto sociale" di questo blog si è chiaramente allargato, e da "coltivazione asimbiotica di orchidee in vitro" si è progressivamente trasformato, almeno in parte, in "fioritura di orchidee nate da coltivazione asimbiotica in vitro". In quest'ottica ho riportato i risultati delle sperimentazioni alla ricerca delle migliori pratiche per la crescita rapida e quindi per la fioritura dagli ibridi di orchidee nate da seme. In più di un'occasione mi sono quindi occupato dei substrati di coltivazione per le piante di phalaenopsis una volta tolte dalla gelatina sterile e finalmente, dopo una serie di sperimentazioni, alcune anche piuttosto bizzarrre con materiali e tecniche, posso dire di aver trovato quello definitivo.
Non è ovviamente farina del mio sacco. Da qualche parte in internet ho trovato un pdf riguardo la coltivazione industriale di phalaenopsis da fiore dove venivano messi a confronto vari materiali. Quello con cui apparentemente si ottengono i migliori risultati è un miscuglio di corteccia di pino e sfagno in proporzione di 8 a 2.
La corteccia si trova facilmente nei negozi di articoli per giardinaggio. Ce n'è sia per pacciamatura che per la coltivazione di orchidee. Sarebbe da preferire il primo tipo che è composto da pezzi più grandi e puliti rispetto a quello che spacciano per substrato da orchidee, che è composto da pezzi più piccoli e frantumati a formare una segatura polverosa che rischia di causare compattamenti e pericolosi ristagni idrici. Il problema è che la corteccia da pacciamatura è normalmente venduta in sacchi eccessivamente grandi. Quello "specifico" per orchidee può comunque essere utilizzato cercando di selezionare i pezzi più grossi e integri che andranno a costituire l'ossatura del substrato. Verrà poi aggiunta una manciata di pezzi più piccoli e infine lo sfagno. Una proporzione approssimativa potrebbe essere: 
  • 50% corteccia in pezzi grossi
  • 30% in pezzi più piccoli
  • 20% di sfagno.
Lo sfagno è già più difficile da trovare, i centri giardinaggio, anche quelli più forniti, difficilmente lo hanno. Io l'ho trovato on-line acquistato, secco e compresso, in grossi pacchi da 10 litri di volume. E' di origine cilena, a fibra lunga di alta qualità, e finora l'avevo usato principalmente per il rinvaso di neofinetia e sedirea. E' da aggiungere alla corteccia spezzettandolo in modo che si mischi bene. Io uso quello che avanza dal rinvaso delle giapponesi per le quali uso solo i filamenti più lunghi.
I risultati di questo sistema sono stati sorprendenti.
A circa un mese dal rinvaso questo è il risultato di una phalaenopsis 1.

 
Tutte le radici che si vedono nell'immagine si sono sviluppate in questo lasso di tempo. Si parla di allungamenti anche del 100% con notevole volume e tonicità. Visto i primi risultati entusiasmanti ho progressivamente provveduto a rinvasare con il medesimo substrato quasi tutte le phalaenopsis.

Nell'immagine sopra si vede chiaramente la crescita della radice, dalla strozzatura in alto a sinistra all'apice verde più in basso a destra, il tutto in meno di un mese.
Per alcune phalaenopsis la crescita delle radici è stata tale che nell'arco di trenta giorni ho dovuto effettuare più di un rinvaso per la stessa pianta poiché le radici non stavano più nel contenitore. Come mostra l'immagine sottostante.

 
Un'altra caratteristica di questo substrato è che le radici crescono quasi tutte verso il basso e quindi dentro il vaso, non fuori e a casaccio come spesso accade per le epifite come le phalaenopsis. Credo che il principio sia semplice. La corteccia da sola è un buon substrato ma tende a non mantenere un costante livello di umidità. Il quantitativo d'acqua che può assorbire la corteccia è limitato, e grazie a questo si evitano ristagni e conseguenti marciumi, ma proprio per questo tende ad asciugare rapidamente, motivo per cui le radici se ne "vanno in giro" in cerca di umidità.
Lo sfagno è invece fortemente igroscopico e sopperisce a questo limite della corteccia mantenendo il substrato a un livello di umidità più costante nel tempo. Il pericolo di marciume è limitato sia perché lo sfagno è solo al 20%, sia perché mantiene l'ambiente a un certo livello di acidità limitando lo sviluppo di muffe.
In questo modo anche la feritilizzazione può essere un po' più spinta poiché con il substrato che rimane bagnato più a lungo non si alzano i valori di salinità e la pianta ha la possibilità di assorbire in maniera più costante gli elementi nutritivi.
I risultati sono visibili e apprezzabili.

 
 La foglia di destra è quella nata e sviluppatasi nell'ultimo mese, da quando cioé ho effettuato il rinvaso con il nuovo substrato. Appare più grande di un 15-20%.

In questa la differenza è ancora più apprezzabile. La foglia è ovviamente quella di sinistra e già ne sta spuntando una nuova.
Vedremo quando, e se, tutta questa crescita si tradurrà finalmente in uno stelo floreale.

sabato 13 settembre 2014

Acqua e zucchero


Ammetto che sta diventando un'ossessione. Se sto giro non fioriscono organizzo il primo campionato di lancio della phalaenopsis. Le sto provando tutte: lampade artificiali e timer, fertilizzazioni spinte e dissociate, sbalzi di temperatura.
Questa volta il nuovo esperimento si è basato su alcune considerazioni. Mi perdonino eventuali tecnici all'ascolto per la grossolanità sia delle premesse che delle conclusioni. Sono solo uno "smanettone".
  • La fotosintesi clorofilliana produce e fornisce alla pianta carboidrati semplici, nella fattispecie glucosio.
  • La fioritura in certe piante si ha quando all'interno dei tessuti si raggiungono determinati valori di carboidrati (glucosio) prodotti dalla fotosintesi clorofilliana (vedi l'agave che viene colta proprio prima della fioritura, quando i tessuti sono saturi di zuccheri che vengono quindi fatti fermentare per distillarne poi la tequila). Anche le phalaenopsis, quando emettono lo stelo floreale spesso trasudano goccioline di una sostanza vischiosa e zuccherina dalle foglie.
  • Il normale zucchero alimentare è una combinazione di glucosio e fruttosio, carboidrati semplici e immediatamente pronti all'uso.
  • Nella coltivazione asimbiotica delle orchidee in gel nutritivo, non essendo i semi ancora in grado di sintetizzare carboidrati mediante fotosintesi, viene aggiunta una certa percentuale di zucchero che può essere direttamente assimilata dai protocormi.

Tutto ciò premesso, pensando di dare una "spintarella" alla fioritura di quelle piante che hanno raggiunto le dimensioni maggiori e che potrebbe essere ormai mature, oltre ai cicli di fertilizzazione e di luce artificiale, ho pensato di dare un po' di "doping zuccherino".
Ho quindi realizzato una soluzione di acqua osmotizzata e normale zucchero da cucina (20g per litro), che è circa la percentuale che si usa per il substrato nutritivo in vitro, e ho messo in ammollo le piante per circa una mezza giornata.
L'idea è quella di fornire alla pianta carboidrati in aggiunta a quelli che lei produce naturalmente con la fotosintesi in modo che l'abbondanza di zuccheri non venga utilizzata solo per lo sviluppo vegetativo, ma sia in parte immagazzinata aumentando quel processo di accumulo e saturazione che porta all'emissione di uno stelo floreale.
Per evitare eccessivi accumuli di zucchero nel substrato che potrebbero causare muffe e sviluppi fungini ho quindi lavato il tutto con abbondante acqua tornando ai normali cicli di fertilizzazione dopo un paio di giorni.
Le due piante trattate sembrano al momento in gran forma. Seguiranno post su eventuali sviluppi e aggiornamenti.