domenica 14 dicembre 2014

Eccola!

Ci siamo, dopo 5 anni di trepidante attesa, ecco la prima fioritura di una delle mie phalaenopsis nate da seme. E' un piccolo, piccolissimo, pressoché insignificante passo per l'umanità, ma un grande momento per un coltivatore amatoriale di orchidee.
Rispetto ai 3 anni che mi ero prefigurato e che la latteratura da' come periodo minimo per giungere a una fioritura partendo da seme, è passato molto più tempo. Ma è stato necessario capire quali fossero le migliori pratiche, non solo per ottenere la germinazione, ma soprattutto per avere poi una crescita rapida delle piantine e le condizioni ambientali (substrato, luce, fertilizzazione) per poter arrivare alla fioritura nei tempi più rapidi. La speranza è che le semine future possano arrivare a fioritura in tempi più brevi.
Un paio di riflessioni. Innanzitutto sulla catalogazione. Nel marasma delle etichette messe, scambiate, perse, la pianta in questione era stata considerata una phalaenopsis 1. In realtà, osservando il fiore, appare chiaro che si tratta di una phalaenopsis 3. Confrontandola con la pianta madre (qui), il fiore è assolutamente identico. E' anche da escludere che si tratti di una phalaenopsis 1 impollinata con polline della 3 perché in teoria i caratteri prevalenti dovrebbero essere quelli della pianta che porta il baccello e la somiglianza in questo caso è troppo marcata.
Non nascondo che nella gioia dell'essere riuscito a portare a fioritura almeno una pianta, c'è un po' di delusione per l'ovvietà dell'ibrido che non ha aluna originalità rispetto alla pianta madre. I petali sono forse un po' più grandi, i colori forse un po' più brillanti, ma la sostanza è quella.
Il fattore positivo è stato la rapidità con cui lo stelo, una volta emesso, è giunto a fioritura. In tutto circa un mese. La pianta nel complesso è ancora di dimensioni contenute, il che potrebbe denotare una certa precocità. Queste potrebbero essere caratteristiche desiderabili, magari da ricercare nella produzione di ulteriori ibridi da questo clone se mai volessi procedere con ulteriori impollinazioni, tutte valutazioni da fare prossimamente. Ci sono nel frattempo altre due phalaenopsis da seme che stanno portando avanti i loro steli floreali per cui a breve ci saranno degli aggiornamenti.

lunedì 3 novembre 2014

Ci siamo


È stato un po' come un gravidanza per la quale si aspetta a dare l'annuncio dopo il terzo-quarto mese quando si sono superate le fasi più critiche in cui le probabilità che qualcosa vada storto sono più alte.
Non ho propriamente aspettato tre mesi ma uno, e ormai direi che, a parte l'imponderabile, ci dovremmo essere. Una phalaenopsis che credo sia di varietà 1, ma è passato talmente tanto tempo che la catalogazione non ha più molta importanza, ha decisamente emesso uno stelo floreale. Proprio una di quelle nate dalle primissime semine. Ormai sono passati cinque anni.
La cosa che mi sorprende è la rapidità con cui sta crescendo lo stelo. In poco più di un mese ha superato di 4 o 5 volte la lunghezza e il ritmo di crescita degli steli floreali che stanno emettendo alcuni ibridi commerciali di phalaenopsis che mi sono stati regalati. Ho posizionato un tutore con mollette riciclate che lo stanno facendo venire su bello dritto e che lo protegge da urti accidentali. Si incomincia anche a intravedere un bocciolo che va ingrossando.


Anche se le ricerche scientifiche smentiscono che vi sia un effetto sensibile, ho effettuato delle fertilizzazioni mirate, diminuendo in generale l'azoto e aumentando il fosforo prima e, una volta emesso lo stelo, caricando con il potassio.
Dopo una bella lavata del substrato adesso tornerò a una normale fertilizzazione bilanciata.
Credo comunque che il fattore determinante nel successo sia stata l'illuminazione sulla cui gestione questa volta mi sono messo d'impegno. C'è un'altra phalaenopsis, di dimensioni più piccole, che sembra anche lei pronta al grande evento.
La cosa comunque non finisce qui. Bisogna intanto portare a compimento la fioritura, e non mancherò ovviamente di postare aggiornamenti, e poi da lì si potrà continuare con l'ibridazione questa volta partendo da soggetti più originali. Con l'esperienza sviluppata spero che i tempi per giungere alla fioritura partendo da seme si possano ridurre ai 3 anni che vengono normalmente indicati nei testi tecnici.

sabato 1 novembre 2014

Gel morbido

Dopo un po' di sperimentazioni, considerazioni e soprattutto confrontando le mie fiasche con alcune acquistate, ho effettuato alcune modifiche migliorative al gel di germinazione. Mi ero infatti reso conto che nella maggior parte delle mie fiasche le radici delle orchidee tendevano a crescere sulla superficie del gel nutritivo, non a infilarsi in esso. Finché si trattava di epifite come phalaenopsis, neofinetia e sedirea, il problema era relativo perché comunque in natura sviluppano radici aeree. Più problematico era invece il fenomeno per le terricole che con un ridotto apparato radicale possono avere problemi nel successivo trapianto in terra.
Nelle fiasche acquistate ad alcuni mercatini di orchidofili invece spesso le radici, soprattutto delle phalaenopsis, si insinuavano nel gel con una crescita più sviluppata e armoniosa. Il problema era chiaramente la consistenza del gel che essendo più morbido permetteva questa condizione.
Già avevo fatto alcune sperimentazioni con la ricetta base, anche in considerazione dell'evaporazione che si verifica durante la fase di sterilizzazione, con un leggero aumento dell'acqua distillata nell'ordine del 10-15%.
Adesso forse ho trovato il giusto bilanciamento, come mostra l'immagine sopra con le radici di una bletilla striata ben affondate nel gel nutritivo.
Questa è la solita ricetta:

Fertilizzante NPK 5-6 grammi
20 g di zucchero
1 g di carbone attivo macinato
1 litro di acqua demineralizzata
8 g di Agar Agar

Con 5-6 grammi invece degli 8 inizialmente previsti si ottiene il risultato voluto. La consistenza finale è simile a quella di un budino morbido (non per niente l'agar si usa per la preparazione di dolci) che tremola quando si scuote gentilmente il vasetto.
I primi trapianti delle bletille direttamente in terra hanno dato ottimi risultati. Partendo da sviluppi radicali migliori, le piante hanno una maggiore resistenza e iniziano a crescere subito dopo il trapianto.

lunedì 22 settembre 2014

Sfagno e corteccia

Ormai "l'oggetto sociale" di questo blog si è chiaramente allargato, e da "coltivazione asimbiotica di orchidee in vitro" si è progressivamente trasformato, almeno in parte, in "fioritura di orchidee nate da coltivazione asimbiotica in vitro". In quest'ottica ho riportato i risultati delle sperimentazioni alla ricerca delle migliori pratiche per la crescita rapida e quindi per la fioritura dagli ibridi di orchidee nate da seme. In più di un'occasione mi sono quindi occupato dei substrati di coltivazione per le piante di phalaenopsis una volta tolte dalla gelatina sterile e finalmente, dopo una serie di sperimentazioni, alcune anche piuttosto bizzarrre con materiali e tecniche, posso dire di aver trovato quello definitivo.
Non è ovviamente farina del mio sacco. Da qualche parte in internet ho trovato un pdf riguardo la coltivazione industriale di phalaenopsis da fiore dove venivano messi a confronto vari materiali. Quello con cui apparentemente si ottengono i migliori risultati è un miscuglio di corteccia di pino e sfagno in proporzione di 8 a 2.
La corteccia si trova facilmente nei negozi di articoli per giardinaggio. Ce n'è sia per pacciamatura che per la coltivazione di orchidee. Sarebbe da preferire il primo tipo che è composto da pezzi più grandi e puliti rispetto a quello che spacciano per substrato da orchidee, che è composto da pezzi più piccoli e frantumati a formare una segatura polverosa che rischia di causare compattamenti e pericolosi ristagni idrici. Il problema è che la corteccia da pacciamatura è normalmente venduta in sacchi eccessivamente grandi. Quello "specifico" per orchidee può comunque essere utilizzato cercando di selezionare i pezzi più grossi e integri che andranno a costituire l'ossatura del substrato. Verrà poi aggiunta una manciata di pezzi più piccoli e infine lo sfagno. Una proporzione approssimativa potrebbe essere: 
  • 50% corteccia in pezzi grossi
  • 30% in pezzi più piccoli
  • 20% di sfagno.
Lo sfagno è già più difficile da trovare, i centri giardinaggio, anche quelli più forniti, difficilmente lo hanno. Io l'ho trovato on-line acquistato, secco e compresso, in grossi pacchi da 10 litri di volume. E' di origine cilena, a fibra lunga di alta qualità, e finora l'avevo usato principalmente per il rinvaso di neofinetia e sedirea. E' da aggiungere alla corteccia spezzettandolo in modo che si mischi bene. Io uso quello che avanza dal rinvaso delle giapponesi per le quali uso solo i filamenti più lunghi.
I risultati di questo sistema sono stati sorprendenti.
A circa un mese dal rinvaso questo è il risultato di una phalaenopsis 1.

 
Tutte le radici che si vedono nell'immagine si sono sviluppate in questo lasso di tempo. Si parla di allungamenti anche del 100% con notevole volume e tonicità. Visto i primi risultati entusiasmanti ho progressivamente provveduto a rinvasare con il medesimo substrato quasi tutte le phalaenopsis.

Nell'immagine sopra si vede chiaramente la crescita della radice, dalla strozzatura in alto a sinistra all'apice verde più in basso a destra, il tutto in meno di un mese.
Per alcune phalaenopsis la crescita delle radici è stata tale che nell'arco di trenta giorni ho dovuto effettuare più di un rinvaso per la stessa pianta poiché le radici non stavano più nel contenitore. Come mostra l'immagine sottostante.

 
Un'altra caratteristica di questo substrato è che le radici crescono quasi tutte verso il basso e quindi dentro il vaso, non fuori e a casaccio come spesso accade per le epifite come le phalaenopsis. Credo che il principio sia semplice. La corteccia da sola è un buon substrato ma tende a non mantenere un costante livello di umidità. Il quantitativo d'acqua che può assorbire la corteccia è limitato, e grazie a questo si evitano ristagni e conseguenti marciumi, ma proprio per questo tende ad asciugare rapidamente, motivo per cui le radici se ne "vanno in giro" in cerca di umidità.
Lo sfagno è invece fortemente igroscopico e sopperisce a questo limite della corteccia mantenendo il substrato a un livello di umidità più costante nel tempo. Il pericolo di marciume è limitato sia perché lo sfagno è solo al 20%, sia perché mantiene l'ambiente a un certo livello di acidità limitando lo sviluppo di muffe.
In questo modo anche la feritilizzazione può essere un po' più spinta poiché con il substrato che rimane bagnato più a lungo non si alzano i valori di salinità e la pianta ha la possibilità di assorbire in maniera più costante gli elementi nutritivi.
I risultati sono visibili e apprezzabili.

 
 La foglia di destra è quella nata e sviluppatasi nell'ultimo mese, da quando cioé ho effettuato il rinvaso con il nuovo substrato. Appare più grande di un 15-20%.

In questa la differenza è ancora più apprezzabile. La foglia è ovviamente quella di sinistra e già ne sta spuntando una nuova.
Vedremo quando, e se, tutta questa crescita si tradurrà finalmente in uno stelo floreale.

sabato 13 settembre 2014

Acqua e zucchero


Ammetto che sta diventando un'ossessione. Se sto giro non fioriscono organizzo il primo campionato di lancio della phalaenopsis. Le sto provando tutte: lampade artificiali e timer, fertilizzazioni spinte e dissociate, sbalzi di temperatura.
Questa volta il nuovo esperimento si è basato su alcune considerazioni. Mi perdonino eventuali tecnici all'ascolto per la grossolanità sia delle premesse che delle conclusioni. Sono solo uno "smanettone".
  • La fotosintesi clorofilliana produce e fornisce alla pianta carboidrati semplici, nella fattispecie glucosio.
  • La fioritura in certe piante si ha quando all'interno dei tessuti si raggiungono determinati valori di carboidrati (glucosio) prodotti dalla fotosintesi clorofilliana (vedi l'agave che viene colta proprio prima della fioritura, quando i tessuti sono saturi di zuccheri che vengono quindi fatti fermentare per distillarne poi la tequila). Anche le phalaenopsis, quando emettono lo stelo floreale spesso trasudano goccioline di una sostanza vischiosa e zuccherina dalle foglie.
  • Il normale zucchero alimentare è una combinazione di glucosio e fruttosio, carboidrati semplici e immediatamente pronti all'uso.
  • Nella coltivazione asimbiotica delle orchidee in gel nutritivo, non essendo i semi ancora in grado di sintetizzare carboidrati mediante fotosintesi, viene aggiunta una certa percentuale di zucchero che può essere direttamente assimilata dai protocormi.

Tutto ciò premesso, pensando di dare una "spintarella" alla fioritura di quelle piante che hanno raggiunto le dimensioni maggiori e che potrebbe essere ormai mature, oltre ai cicli di fertilizzazione e di luce artificiale, ho pensato di dare un po' di "doping zuccherino".
Ho quindi realizzato una soluzione di acqua osmotizzata e normale zucchero da cucina (20g per litro), che è circa la percentuale che si usa per il substrato nutritivo in vitro, e ho messo in ammollo le piante per circa una mezza giornata.
L'idea è quella di fornire alla pianta carboidrati in aggiunta a quelli che lei produce naturalmente con la fotosintesi in modo che l'abbondanza di zuccheri non venga utilizzata solo per lo sviluppo vegetativo, ma sia in parte immagazzinata aumentando quel processo di accumulo e saturazione che porta all'emissione di uno stelo floreale.
Per evitare eccessivi accumuli di zucchero nel substrato che potrebbero causare muffe e sviluppi fungini ho quindi lavato il tutto con abbondante acqua tornando ai normali cicli di fertilizzazione dopo un paio di giorni.
Le due piante trattate sembrano al momento in gran forma. Seguiranno post su eventuali sviluppi e aggiornamenti.

mercoledì 18 giugno 2014

Prossimi arrivi dal Giappone

I prossimi arrivi dal Giappone che giungeranno a breve.
Sopra una sempre apprezzata Sedirea Japonica (Nago-ran).

 Poi una fino ad ora sconosciuta Osa-ran (apprendo essere genere Eria).

Una Yukoku-ran che andrà a far compagnia all'altra che ho da qualche anno ma che a parte numerose foglie e pseudobulbi non mi ha mai degnato di una fioritura.

E poi questa varietà di Neofinetia Falcata (Fuki-ran) che a quanto mi dicono sta avendo molto successo tra i collezionisti. Non mi hanno ancora saputo dire il nome di questa varietà ma non mancherò di dedicarle qualche approfondimento.

Inutile dire che la parola ran in Giapponese significa orchidea. In ideogrammi si scrive . I tre segnetti più in alto sono quelli che si usano per gli ideogrammi che hanno a che fare con fiori e mondo vegetale in generale. Quello centrale 門 significa porta, e quello dentro 東 significa invece oriente.

Sfiascamento Phalaenopsis 4

Ecco le miracolate Phalaenopsis 4 che sono giunte al momento dello sfiascamento. Il vaso incominciava ad andar loro decisamente stretto.
Rimozione del gel e risciacquo accurato dei residui dalle radici, immersione in soluzione fertilizzata di acqua distillata (attorno ai 500 μS) per dar loro un po' di nutrimento qualora il gel fosse stato un po' spompo e poi ad asciugare un po' sulla carta assorbente.
Come sempre ce n'è qualcuna con la genetica particolarmente valida e che ha surclassato le altre in dimensioni.

Sono state piantate in parte in semi-idroponica, e in parte in un mix di corteccia di piccola pezzatura, gommapiuma spezzettata e perlite. Sembrano stare tutte bene e nelle ultime settimane hanno già emesso nuove foglie.

sabato 14 giugno 2014

Neofinetie appese

Ho dato una risistemata alle Neofinetie Falcate che iniziano ad essere un certo numero. Ho quindi appeso verticalmente la rete che le reggeva orizzontalmente e con dei gancetti inox presi dal ferramenta le ho appese ad essa. In queto modo si riescono a godere, e controllare, decisamente meglio e dovrebbero avere anche una migliore circolazione d'aria attorno a loro.
Sembrano gradire la condizione e l'anziana del gruppo ha dato una bella, abbondante e profumatissima fioritura. Anche le altre stanno emettendo steli floreali sebbene, essendo state messe all'aperto prima, hanno un po' rallentato.


giovedì 12 giugno 2014

Vasi per neofinetia


Tempo addietro, di passaggio in una via dove passo di rado e comunque senza troppa attenzione, ho notato una botteguccia che ha catturato la mia attenzione. Attraverso una porticina sono entrato nel laboratorio di una ceramista. Un laboratorio artigiano in piena regola, occupato per buona parte da un grande forno elettrico tutto foderato di mattoni refrattari, un tavolaccio con tornio e vari attrezzi rotanti e oggetti in ceramica sparsi un po' dappertutto tanto che all'interno non osavo muovermi per paura di fare danni. Lo stile dei lavori è abbastanza insolito. Vasi, piatti, bicchieri, oggetti di puro design sono per lo più bianchi, con appendici gibbose e appuntite che a tratti ricordano certi artisti giapponesi degli anni '60 come Okamoto Taro.
Perché no, mi sono detto. Era da un po' che meditavo di rivolgermi a qualche ceramista per realizzare dei vasi per le neofinetie falcate. La signora, con quell'atteggiamento smagato che la rende più artista che artigiana, è sembrata subito intrigata dalla finalità dei vasi che le chiedevo. Non conosceva la neofinetia falcata ma il concetto stesso di "orchidea selvatica giapponese" ha avuto sicura presa. Così le ho fatto qualche schizzo per la realizzazione di due vasi da fukiran. Ho dato indicazioni per la decorazione di uno e lasciato a lei la rifinitura dell'altro. Dopo circa un mese il risultato è stato quello che si vede sopra. Realizzato con due ceramiche con colori diversi che mescolate danno quella particolare ventatura molto wabi-sabi. L'interno è smaltato così che le radici non ci si attacchino. Qua e là sono sati praticati dei gruppetti di fori per la ventilazione. Per lo stesso motivo sotto vi è un grande foro di drenaggio sollevato da tre discreti piedini.
Le ho già messo dentro una neofinetia con tutto lo sfagno. Mi piace molto il risultato anche se la pianta ha ancora bisogno di crescere un po' per bilanciare le dimensioni del vaso e non esserne sovrastata.
Qello decorato dalla signora è invece qua sotto.


In foto rende meglio di quanto non faccia dal vivo poiché è forse un po' troppo vivace. Non ho ancora deciso cosa metterci dentro. Potrei anche utilizzarlo per una phalaenopsis perché credo abbia bisogno di qualcosa di abbastanza voluminoso e con fiori appariscenti per trovare un equilibrio. Nel complesso sono comunque molto soddisfatto di entrambi, tanto che sto pensando di fargliene realizzare qualcun altro.
E poi l'altro giorno, mentre passeggiavo per le vie del centro, sono passato davanti a quello che è considerato il più stiloso negozio di arredamento della città e ho notato qualcosa in vetrina:


Sono tre vasi dalle forme insolite della signora del laboratorio di ceramica. Magari un giorno diventa famosa e i miei vasi da neofinetia varranno migliaia di euro.

lunedì 9 giugno 2014

Un po' di scienza

Era tempo di dare una svolta alla coltivazione, soprattutto per quanto riguarda le phalaenopsis, le cui prime semine risalgono ormai al lontano 2009. 5 anni ormai, nei quali molte piantine sono morte, altre stentano, altre invece crescono con vigore, ma nessuna delle quali ha comunque dato alcuna fioritura.
Così ho ritenuto di prendere un approccio un po' più sistematico alla coltivazione, dotandomi quindi dei necessari strumenti.
Eccoli qui. Sono un conduttivimetro e un misuratore di PH. Non sono costati molto e dovrebbero permettere una più accurata misurazione delle condizioni di coltivazione, permettendo così di forzare un po' più la mano.

Conduttivimetro

Il conduttivimetro permette di misurare la concentrazione dei sali minerali disciolti in una soluzione. L'acqua pura è un pessimo conduttore elettrico. La capacità di condurre energia elettrica è data dalla presenza di ioni di vari elementi chimici, ossia di sali minerali, in essa disciolti (i fisici e i chimici probabilmente avrebbero qualcosa da ridire riguardo a questa spiegazione, ma insomma, a grandi linee è così). Il conduttivimetro misura quindi la conducibilità di una soluzione e valuta la quantità di sali in essa disciolti. Questo è importante per quanto riguarda la fertilizzazione poiché i fertilizzanti sono sostanzialmente sali solubili in acqua (tutti i sali saranno solubili in acqua? Boh). Ad ogni modo, tra i coltivatori di palaenopsis la fertilizzazione è una di quelle cose che scatena i peggiori psicodrammi: metà della dose consigliata ogni tanto... un quarto della dose consigliata spesso... l'eccessiva concentrazione brucia le radici... una scarsa fertilizzazione pregiudica la fioritura... bisogna lavare spesso il substrato per evitare accumuli salini... e chi più ne ha più ne metta.
Con un conduttivimetro magari riusciamo a dare un senso al tutto. L'utilizzo è molto semplice. Si accende, si immerge nella soluzione, e sul piccolo schermo a cristalli liquidi si legge il valore. Unità di misura della conduttività di una soluzione è il Siemens, per lo più espressa nel sottomultiplo microsiemens (µS). L'acqua distillata è praticamente a 0µS. Una buona acqua oligominerale di solito sta a 100/200µS. L'acqua di rubinetto della zona dove abito è proverbialmente "dura", ossia ricca di sali minerali, in particolare carbonato di calcio, il classico calcare che si deposita su rubinetteria e superfici dei sanitari. La misura legge 600µS, che è molto alta. E infatti normalmente si consiglia di utilizzare per l'annaffiatura acqua distillata o acqua piovana (che poi di fatto è acqua distillata). In questo modo, oltre a evitare accumuli di calcare si dovrebbe avere un maggior assorbimento di sostanze nutritive da parte delle radici delle piante. E qui entra in gioco un altro fenomeno fisico: l'osmosi. Per quelli che sono i miei ricordi di scienze alle superiori, l'osmosi è il processo per cui, date due soluzioni separate da una membrana permeabile, si avrà uno spostamento di sali da quella più concentrata a quella meno concentrata. O di liquido da quella meno concentrata a quella più concentrata. O almeno così mi pare di ricordare. Il che comunque sembra avere senso. Meno è concentrata l'acqua di partenza, più saranno gli elementi nutritivi utili allo sviluppo della pianta che vi si possono disciogliere e che potranno quindi essere assorbiti dalle radici, che funzionano da membrana permeabile di cui sopra.
Spulciando in giro per la rete, i valori ottimali per le phalaenopsis vanno da 800µS ai 1000-1500µS. Questa differenza di valori in realtà dipende molto dal tipo di substrato in cui si coltiva la pianta. E questo perché se il substrato tende ad asciugarsi rapidamente, i valori di concentrazione salina del substrato possono salire altrettanto rapidamente (se l'acqua evapora, i sali in essa contenuti si concentrano). I valori più alti di concentrazione salina nell'acqua di annaffiatura si dovrebbero quindi usare con piante che crescono in un substrato più ricco in sfagno, che si mantiene umido più a lungo.
Ho quindi proceduto a trapiantare le phalaenopsis più cresciute in vasi con un miscuglio di corteccia di pezzatura medio-grossa con un 20 per cento circa di sfagno sbriciolato. Per ora sto procedendo con un fertilizzante bilanciato con concentrazione tra gli 800 e i 1000 µS. Ogni due o tre fertilizzazioni così procedo a un risciacquo con sola acqua distillata.
Se i risultati saranno soddisfacenti, andando avanti nella stagione si potrà provvedere a variare le concentrazioni dei vari elementi, fosforo e potassio, per forzare la fioritura al momento opportuno.

Misuratore di PH

Altro fattore da misurare è il PH dell'acqua, ossia quanto l'acqua sia acida, basica o neutra. Ma questo in realtà si sapeva e già con le semine il PH era stato un valore tenuto sotto controllo. Il valore della gelatina di semina doveva essere tra i 5.5 e i 6.0, ossia leggermente acido rispetto al valore neutro del PH che è 7.0. Per le gelatine di coltura usavo le strisce tornasole. Adesso con questo misuratore, che funziona sostanzialmente come il conduttivimetro, ma leggendo il valore di PH, le misure si possono fare con maggiore rapidità e frequenza.
Per l'acqua di annaffiatura vale più o meno lo stesso valore di quello per il gel di semina. Quale ne sia il motivo non saprei. Certo l'acididità aiuta a prevenire l'accumulo di carbonato di calcio, che si scioglie in soluzioni acide, e una certa acidità dovrebbe anche prevenire lo sviluppo di muffe e batteri. Questo è un argomento che valuteremo meglio magari in futuro.

martedì 18 marzo 2014

Ripicchiettatura Bletilla Striata

La bletilla striata è sempre molto generosa. La semina della capsula frutto dell'incrocio tra una varietà standard e una varietà alba presa a Orchibò l'anno scorso ha avuto una percentuale di germinazione molto alta. Siccome non avevo nessuna voglia di passare un pomeriggio chino sulla cappa sterile per ripicchiettare su nuovo gel nutritico le centinaia di piccole bletille che sono spuntate, ho cercato un metodo alternativo. La crescita è stata piuttosto rapida e omogenea così, dopo un inverno passato in casa sotto la luce artificiale, nel vasetto c'erano ormai delle vere e proprie piccole piantine, molte delle quali con più di una bozza di apparato radicale.

Il vasetto con le bletille appena aperto
Ho così deciso che avrei provato a metterle direttamente in terra, anche memore del buon successo ottenuto con la precedente semina che aveva dimostrato una buona resistenza delle plantule al contatto con il terreno.

Le piantine appena rimosse dal gel nutritivo
Una volta rimosse dal substrato di agar le piantine sono state separate dai folti mazzetti in cui si erano affastellate e disposte più o meno ordinatamente sulla della carta assorbente inumidita. L'operazione è stata comunque noiosa, ma ho potuto effettuarla comodamente seduto a un tavolo e non in piedi e piegato in due sul box sterile.
Le plantule di bletilla striata separate dal substrato
Ho quindi ripreso il metodo giapponese del cartone in voga ormai da un po' di anni tra i coltivatori di orchidee. La spiegazione la trovate qui:

http://nao-k.jp/utyouran/danbo-ru_1.htm

Viene normalmente utilizzata per la semina. Ma se funziona per la germinazione, a maggior ragione dovrebbe funzionare per la ripicchiettatura, quando già le piantine hanno sviluppato radichette.
Ho dunque preso un contenitore in plastica (credo fosse una confezione di savoiardi artigianali) e ho praticato dei fori sul fondo per garantire il drenaggio. Ho poi foderato le pareti con del cartone doppio strato e ondulina nel mezzo. Lo stesso cartone è stato utilizzato per creare degli scomparti come vedete nell'immagine qui sotto.

Paratie di cartone formano degli scomparti
Sul fondo ho posto uno strato di argilla espansa, sempre per agevolare il drenaggio e dare stabilità alle paratie di cartone.
Ho quindi realizzato un terriccio unendo metà terriccio per agrumi con metà akadama che vedete nell'immagine qui sotto.

Terra akadama
Si tratta di costosissimo terreno per bonsai. In Giappone te lo tirano dietro, ma qua da noi viene importato e ha prezzi proibitivi, considerando che si tratta di banalissima terra. Non così banale in realtà perché è ottima per la coltivazione in quanto è ricca di sostanze minerali, mantiene il terreno acido impedendo la proliferazione di muffe e marcizioni, apporta il giusto grado di umidità e, grazie al mantenimento della granulometria, mantiene una buona areazione. In Giappone, oltre che per i bonsai, viene anche molto utilizzata per le orchidee terricole. In questo caso ho riciclato dell'akadama proveniente da un rinvaso di cymbidium goeringii. Il metodo del cartone prevede infatti di frullare un po' di radici di shun-ran, cymbidium goeringii appunto, e di aggiungere l'estrato al terreno di semina. Questo viene fatto per far sì che i funghi simbionti del cymbidium colonizzino il substrato, instaurando una micorriza con i semi che vi si pongono sopra e favorendo la germinazione. Lungi da me mettermi a frullare le radici della mia povera orchidea di primavera, ho semplicemente riutilizzato il terreno che vi è stato a contatto e che dovrebbe contenere i medesimi funghi.

Frammenti di cartone
Al tutto è stata aggiunta una bella manciata di chips di cartone che decomponendosi col tempo nel terreno dovrebbe rilasciare cellulosa e ulteriore sostanza nutritiva facilmente assimilabile dalle piante.
Ed ecco il risultato:

Il substrato di trapianto pronto
Qua sotto invece c'è la vaschetta dopo il trapianto di tutte, o almeno di una buona parte delle bletille striate. A distanza di circa una settimana dall'operazione devo dire che tutto sembra procedere proprio benino. Nessuna piantina è finora deceduta e hanno anzi preso un bel turgore e colore verde brillante.

Le bletille dopo li trapianto

sabato 8 marzo 2014


La necessità si sa, aguzza l'ingegno e così eccoci con una nuova trovata per il substrato di trapianto delle orchidee.
Ieri ho sfiascato un vasetto di phalaenopsis 4, un ibrido piuttosto vigoroso che era cresciuto molto nel suo substrato phytamax. Dopo aver ripulito per bene foglie e radici dal gel nutritivo e aver fatto un bagno in una blanda soluzione di fertlizzante (diluito circa a un terzo di quanto raccomandato), mi sono accorto di non avere substrato adatto al trapianto. Per essere precisi non avevo substrato adatto ai vasi a disposizione o vasi adatti al tipo di substrato disponibile. Avevo una buona quantità di argilla espansa per un progetto che sto seguendo e che anche se un po' fuori tema magari riporterò qui in futuro, ma era di grana piuttosto fine e, per esperienze passate, so che la mancanza di circolazione d'aria tende a favorire marcizioni soprattutto se si usa per una semi-idroponica come normalmente faccio con l'argilla espansa. Di contro la corteccia che avevo era anche di pezzatura piuttosto fine e comunque non sufficiente per riempire i vasetti in cui pensavo di matterle, anche perché le piantine nel gel avevano sviluppato radici piuttosto lunghe.
Così, pensa che ti ripensa mi è venuto in mente di combinare un po' di tecniche e qualche novità. Sono partito dal principio dell'epi-web, che in realtà non ho più a disposizione, e l'ho sostituito con una spugnetta abrasiva nuova che avevo sotto il lavello. La struttura e il materiale sembrano assomigliare abbastanza all'epi-web anche se con una grana più fine. Ho quindi tagliato delle listerelle di spugnetta e le ho messe in piedi nel vasetto e sopra gli ho sistemato la piantina di phalaenopsis con le lunghe radici in mezzo. Ho poi messo i piccoli ritagli di spugnetta abrasiva negli interstizi per dare un po' di stabilità il tutto e ho riempito i rimanenti spazi con l'argilla espansa che essendo abbastnaza piccola si è sistemata bene.
Il tutto ha un bell'aspetto. La piantina pare stabile, e il substrato con i giusti spazi sembrerebbe ben areato lasciando passare bene le innaffiature.


Un'altra piantina, la più piccola e con l'apparato radicale meno sviluppato è stato sistemato in un vasetto con un nuovo substrato acquistato da  http://www.roellke-orchideen.de a un'esposizione-mercato di orchidee cui partecipava. E' un misto di corteccia fine, perlite, pezzettini di gommapiuma.

domenica 16 febbraio 2014

Finalmente primavera!
No beh, in realtà manca ancora più di un mese ma è da un po' che le temperature sono abbastanza miti, e le precipitazioni decisamente abbondanti.
La cosa sta risvegliando un po' di vegetali, soprattutto quelli più precoci.
Anche se sono in posizioni diverse, l'unico motivo che può spiegare questo anticipo delle bletille striate padovane rispetto alle altre credo sia la genetica. E' infatti già da una decina di giorni che i primi germogli stanno facendo capolino dal terreno. Dopo un inverno passato all'asciutto, ho quindi ripreso ad innaffiarle anche se con parsimonia in modo da evitare marcescenze.
Ma infine è arrivato il momento del trapianto. I vasi in cui erano state trapiantate le piantine appena sfiascate dal gel nutritivo erano abbastanza piccoli e visto che le bletille si erano sviluppate molto probabilmente il terriccio era anche un po' esaurito. Ho quindi deciso per un intevento radicale. I bulbetti sono stati liberati facendo attenzione a non danneggiare i germogli, che come si può vedere dall'immagine sono ormai ben sviluppati, e sono stati messi tutti assieme in un vascone con terreno nuovo. Il terreno è stato fatto bello "carico", con stallatico pellettato, lupini macinati e cornunghia, che dovrebbero garantire apporto nutritivo in progressione nel tempo. Per garantire l'indispensabile drenaggio è stata aggiunta una buona dose di perlite, lapillo e corteccia e un bel po' di lombrichi che tengono il terreno sciolto e arieggiato con le loro gallerie.


Guardando l'elenco dei post in questo filone vedo che la semina è stata fatta a settembre 2011, questo è il primo ciclo quiescenza-germinazione che le piante fanno (l'inverno 2012-2013 passato nelle fiasche non fecero riposo vegetativo).
Quest'anno non credo proprio che ci sarà alcuna fioritura ma, con buone condizioni di luce e con tutto il nutrimento che ho buttato nel vascone, la speranza è che i bulbi diventino abbastanza grossi per garantire una fioritura l'anno prossimo.

martedì 14 gennaio 2014

In generale non mi piace fare pubblicità, soprattutto se nemmeno mi pagano per farne. Magari dopo questo post potrebbero inviarmi una fornitura gratuita dei loro prodotti (sempre se non scoprissero il numero risibile di visitatori). Ma in questo caso volevo condividere i buoni risultati ottenuti con un prodotto che utilizzo da un annetto sia per le orchidee sfiascate sia per le semine.
Si tratta di un fertilizzante liquido. Questo:


E' un banalissimo fertilizzante per gerani di una comune marca che si può vedere facilmente nell'immagine. Niente di speciale dunque, se non il fatto che abbia le caratteristiche che cercavo in un fertilizzante per la semina delle orchidee.


Composizione sufficientemente bilanciata di NPK (8-6-6). La componente di azoto non presenta quello ureico. Non sono un tecnico, quindi baso il mio modus operandi su considerazioni logiche fatte sulla base delle informazioni che trovo in giro. Mi perdonino quindi gli esperti se dico delle castronerie colossali. Mi pare dunque di aver capito che l'azoto nitrico e quello ammoniacale possono essere assorbiti e utilizzati dalle piante così come sono mentre quello ureico deve essere scomposto in forme più semplici tramite l'operato di microrganismi. Viene utilizzato nei fertilizzanti in quando permette di fornire una riserva di azoto che può essere utilizzata dalle piante nel tempo man mano che l'azione di scomposizione dei batteri prosegue, mentre le forme ammoniacali e soprattutto nitriche, vengono dilavate velocemente dal terreno. Essenedo i vasetti di semina un ambiente chiuso questo dilavamento non avviene e i due elementi rimangono nel "terreno". Essendo sterili (si spera), non vi sono batteri che possano scomporre l'azoto ureico che diventa inutile se non dannoso contribuendo comunque a innalzare la salinità del substrato.
Vi sono poi ferro, rame, molibdeno e tutti gli altri microelementi.
Nei vasetti viene messo seguendo la vecchia ricetta, con leggere variazioni a seconda che sia per semina o trapianto dei protocormi. La riposto qui per comodità:

Fertilizzante NPK 5-6 grammi
20 g di zucchero
1 g di carbone attivo macinato
1 litro di acqua demineralizzata
8 g di Agar Agar

Il risultato finora è stato piuttosto buono.


Questa è un vasetto dell'ultima semina di Neofinetia Falcata. Anche le Bletille stanno andando bene, con un'ottima percentuale di germinazione e una certa uniformità di crescita.