Bisogna ammettere il fallimento quando ci si trova di fronte a alla realtà delle cose.
La speranza, si sa, è sempre l'ultima a morire, è vero, però poi a un certo punto anche la speranza soccombe.
E così oggi, preso il coraggio a due mani, mi sono disfatto di tutte le semine in attesa di germinazione. E in attesa lo erano da tanto. Le più vecchie da circa un anno e quattro mesi. Le più recenti da poco più di un anno. Anche considerando il possibile stato letargico in cui fossero entrati i semi, come tempi siamo ben fuori da quelli che sono considerati i tempi massimi per la germinazione.
In realtà più che di stato letargico dei semi credo si possa tranquillamente parlare di morte certa.
Non c'è stata alcuna germinazione nonostante i numerosi media e i metodi di semina utilizzati: Phytamax, Murashige and Skoog, OSP germination medium, OSP replate medium, substrato casalingo, a piena concentrazione, a concentrazione dimezzata, sterilizzazione in ipoclorito, sterilizzazione in acqua ossigenata, vasetti grandi, vasetti piccoli, a tenuta ermetica, con aerazione sterile.
Non è spuntato niente di niente. Se si escludono aluni puntini bianchi in vasetti di Phalaenopsis Cornu Cervi che però ormai, bloccati da mesi, ho il dubbio non fossero nemmeno protocormi. Perfino le muffe sono state pochissime. Ormai il protocollo di sterilizzazione con pentola a pressione pare collaudato.
Certo la cosa strana è che nessuna delle partite di semi abbia dato buon esito, ne' la cornu cervi, ne' le varie bletilla striata, ne' i dendrobium e le cattleya. Nonostante il fatto che provenissero quasi tutte da fonti diverse. La cosa che tutti i semi recuperati hanno in comune è che per nessuno di essi conoscevo ne' l'epoca di raccolta ne' il metodo di conservazione. Il che mi porta alla conclusione che è inutile perdere tempo e soldi con semi dei qualsi non si conosca la provenienza. E poi, per quel poco di esperienza maturata con le semine precedenti andate a buon fine, il metodo che da' migliori risultati è quello che parte da capsula chiusa.
Comunque i vasetti con i media non andranno buttati. Sono già stati riutilizzati per ripicchiettare un po' delle phalaenopsis delle semine precedenti. Un'altra cosa che ho capito è infatti che è meglio aspettare il più possibile a sfiascare le orchidee, e più sono grandi e forti in vitro, maggiori saranno le possibilità di sopravvivenza e più rapida la crescita fuori da esso. Ecco quindi che un po' degli ultimi vasetti di phalaenopsis rimasti sono andati divisi tra i vari medium delle semine fallite. Così, se proprio i semi hanno ancora qualcosa da dire, hanno ancora un po' di tempo per farlo mentre intanto il substrato da' da crescere ad altre piantine.
Non ci resterà che attendere le prossime fioriture, altra cosa in cui sembro avere delle difficoltà, per avere un po' di capsule da portare avanti.
lunedì 4 ottobre 2010
sabato 21 agosto 2010
Ultimamente ne sto facendo parecchi, ma questo è forse l'unico trapianto che ho fatto perché realmente le piantine di phalaenopsis 1/3 non stavano più dentro il barattolo. La più grande aveva ormai una foglia tutta piegata dallo schiacciamento contro il coperchio del vasetto. Non so se sia stato merito della genetica della pianta o delle particolari condizioni di crescita. L'ultima ripicchiettatura era stata effettuata su replating media dell'Orchid Seed Bank Project ancora parecchi mesi fa, e sul coperchio era stato posta una garza per l'aerazione. Per quanto un po' macchinoso questo sistema si è dimostrato piuttosto affidabile (su nessuno dei vasetti dove è stato testato si sono sviluppate contaminazioni) e probabilmente efficace nel garantire un po' di scambio gassoso. Magari più avanti pubblicherò un post su come effettuare questo tipo di intervento.
Solita procedura di lavaggio delle radici e asciugatura su carta assorbente. Le varie piantine non erano in realtà cresciute uniformemente e accanto ad alcune davvero sorprendenti per dimensioni ve ne erano altre decisamente meno sviluppate.
Questa volta per il trapianto è stato usato un substrato semi-idroponico. Era da un po' che monitoravo su internet le varie risorse che parlano di questa tecnica per la coltivazione di alcune specie di orchidee. Sebbene avessi letto che questo tipo di coltivazione non è adatta alle piantine appena sfiascate ho voluto provare, soprattutto spinto dall'insoddisfazione per i risultati ottenuti con lo sfagno e la corteccia che danno una crescita lentissima e stentata.
I primi risultati con la semi-idroponica sulle piccole phalaenopsis sembrano incoraggianti tanto che ormai la maggior parte dei trapianti eseguiti ultimamente sono stati fatti in questo modo.
Il substrato è costituito da argilla espansa. Sui siti consigliano di fare una selezione della pezzatura dei grani di argilla espansa ma l'ho considerata una finezza un po' estrema. Come contenitori ho usato un po' di normali vasetti in plastica da piantine, qualche bicchiere di plastica e contenitore vario. Nei bicchieri di plastica ho praticato tre o quattro fori circolari a circa un centimetro dal fondo. Li ho quindi riempiti di argilla espansa ben lavata e sopra vi ho adagiato le piantine di phalaenopsis appena sfiascate ricoprendo alcune radici con altra argilla espansa in modo da dare un minimo di stabilità. Sotto quelle collocate nei vasetti normali ho posto un piccolo sottovaso in cui lascio accumulare un velo d'acqua.
I vantaggi di questo tipo di operazione sono dati dal fatto che l'argilla espansa, essendo un materiale neutro, non marcisce e impedisce la proliferazione di parassiti che possono essere comunque facilmente lavati via. Sia nei vasetti normali che hanno il sottovaso, sia nei bicchieri di plastica con i fori a un centimetro dal fondo, si accumula dell'acqua che per capillarità risale verso l'alto fornendo sempre una buona dose di liquidi alla pianta.
L'argilla espansa di contro non fornisce alcun nutrimento alla pianta per cui in quasi ogni annaffiatura è bene aggiungere del fertilizzante bilanciato molto diluito. Io faccio un millilitro e mezzo di 5-5-5 per orchidee in circa un litro di acqua distillata con l'aggiunta di un po' di acqua di rubinetto per fornire un minimo di calcio.
I risultati al momento sono stati sorprendenti. Le piante appena sfiascate non paiono subire alcuno shock come quelle poste in sfagno. Shock che normalmente fa arrestare la crescita per più di un mese. Di contro, forse perché poste in un ambiente più aereato e con nuovo nutrimento, le piantine tendono subito a crescere, emettendo nuove radici che si allungano molto rapidamente facendosi strada tra le palline di argilla espansa. Anche le foglie tendono a distendersi con una certa velocità e a nascerne di nuove.
A breve pubblicherò i progressi di questo sfiascamento che sono stati piuttosto interessanti.
Solita procedura di lavaggio delle radici e asciugatura su carta assorbente. Le varie piantine non erano in realtà cresciute uniformemente e accanto ad alcune davvero sorprendenti per dimensioni ve ne erano altre decisamente meno sviluppate.
Questa volta per il trapianto è stato usato un substrato semi-idroponico. Era da un po' che monitoravo su internet le varie risorse che parlano di questa tecnica per la coltivazione di alcune specie di orchidee. Sebbene avessi letto che questo tipo di coltivazione non è adatta alle piantine appena sfiascate ho voluto provare, soprattutto spinto dall'insoddisfazione per i risultati ottenuti con lo sfagno e la corteccia che danno una crescita lentissima e stentata.
I primi risultati con la semi-idroponica sulle piccole phalaenopsis sembrano incoraggianti tanto che ormai la maggior parte dei trapianti eseguiti ultimamente sono stati fatti in questo modo.
Il substrato è costituito da argilla espansa. Sui siti consigliano di fare una selezione della pezzatura dei grani di argilla espansa ma l'ho considerata una finezza un po' estrema. Come contenitori ho usato un po' di normali vasetti in plastica da piantine, qualche bicchiere di plastica e contenitore vario. Nei bicchieri di plastica ho praticato tre o quattro fori circolari a circa un centimetro dal fondo. Li ho quindi riempiti di argilla espansa ben lavata e sopra vi ho adagiato le piantine di phalaenopsis appena sfiascate ricoprendo alcune radici con altra argilla espansa in modo da dare un minimo di stabilità. Sotto quelle collocate nei vasetti normali ho posto un piccolo sottovaso in cui lascio accumulare un velo d'acqua.
I vantaggi di questo tipo di operazione sono dati dal fatto che l'argilla espansa, essendo un materiale neutro, non marcisce e impedisce la proliferazione di parassiti che possono essere comunque facilmente lavati via. Sia nei vasetti normali che hanno il sottovaso, sia nei bicchieri di plastica con i fori a un centimetro dal fondo, si accumula dell'acqua che per capillarità risale verso l'alto fornendo sempre una buona dose di liquidi alla pianta.
L'argilla espansa di contro non fornisce alcun nutrimento alla pianta per cui in quasi ogni annaffiatura è bene aggiungere del fertilizzante bilanciato molto diluito. Io faccio un millilitro e mezzo di 5-5-5 per orchidee in circa un litro di acqua distillata con l'aggiunta di un po' di acqua di rubinetto per fornire un minimo di calcio.
I risultati al momento sono stati sorprendenti. Le piante appena sfiascate non paiono subire alcuno shock come quelle poste in sfagno. Shock che normalmente fa arrestare la crescita per più di un mese. Di contro, forse perché poste in un ambiente più aereato e con nuovo nutrimento, le piantine tendono subito a crescere, emettendo nuove radici che si allungano molto rapidamente facendosi strada tra le palline di argilla espansa. Anche le foglie tendono a distendersi con una certa velocità e a nascerne di nuove.
A breve pubblicherò i progressi di questo sfiascamento che sono stati piuttosto interessanti.
domenica 18 luglio 2010
epiweb
Ormai il periodo di prova cui sottopongo le nuove soluzioni prima di poterne parlare obbiettivamente è passato e quindi eccoci qua con un nuovo post.
L'idea mi è venuta da un blog che è una vera e propria bibbia sulla coltivazione delle orchidee (a volte inquieta persino un po' per la maniacalità...):
www.orchidkarma.com
Si tratta di questa fibra artificiale in materiale plastico che dovrebbe costituire un ottimo supporto per la coltivazione delle orchidee epifite come le phalaenopsis.
Viene prodotto in Svezia da questa azienda:
www.epiweb.se
L'azienda non vende direttamente e quindi mi sono affidato al loro rivenditore inglese. Gli anglosassoni di solito mi danno idea di affidabilità sulla vendita on-line. L'ordine invece è stato evaso dopo due mesi di attesa e due mail, una di sollecito e una di minacce. E quando mi sono visto sti tre manicotti di un materiale simile a quello di certe pagliette per lavare i piatti devo dire che ho avuto forte la sensazione di essermi preso una fregatura, dato che per quanto non carissimi, non è che costassero proprio un'inezia.
Comunque, visto anche il piccolo investimento, ho deciso di dar loro una possibilità e ho fatto un primo trapianto-impianto di alcune piantine di phalaenopsis nn, ossia di fiasche di cui avevo perso la tracciatura, di varie dimensioni.
Non ho fatto altro che incastrare tra le fibre del materiale alcune delle radici delle piccole phalaenopsis cercando di far aderire le altre alla superficie del substrato.
L'annaffiatura è stata fatta con uno spruzzino con acqua demineralizzata e fertilizzante bilanciato per orchidee e metà dose. In questo periodo di caldo sahariano le spruzzature sono abbastanza frequenti, anche tre al giorno. Il manicotto è appoggiato su di un piattino dove resta un mezzo dito di acqua nella speranza che trasmetta un po' di umidità.
Ogni due o tre giorni vengono immerse con tutto il manicotto in acqua abbondante per lavar via eventuali depositi salini.
A distanza di circa tre settimane dal trapianto devo dire che i risultati sono stati piuttosto incoraggianti. Di piantine collassate ce ne sono state solo un paio, e tra le più piccole che normalmente faticano comunque in qualsiasi condizione. Rispetto alla coltivazione in sfagno seguita finora, la crescita di foglie nuove è veloce e costante. Normalmente le piantine tenute su sfagno, pur non deperendo, hanno una crescita estremamente lenta e stentata. Mettono una foglia nuova ogni morte di papa e non mostrano una crescita radicale particolarmente vivace. Soprattutto quelle appena sfiascate tendono a bloccarsi per un bel po' prima di dare nuovi segnali di crescita.
Le piantine poste su epiweb invece hanno mostrato da subito una crescita piuttosto costante delle foglie. Quelle già presenti hanno continuato ad allungarsi, e se ne vanno formando via via di nuove. Anche le radici, soprattutto in una piantina le cui vecchie parevano piuttosto mal messe, hanno preso a crescere e in alcuni punti ne appaiono di nuove.
Direi che sembra procedere bene e, alla luce di altri nuovi esperimenti di cui parlerò prossimamente, penso che abbandonerò definitivamente lo sfagno che, forse anche per mancanze mie, non pare dare buoni risultati ed è difficile da mantenere alla giusta umidità.
L'idea dietro l'epiweb, stando anche a quanto dicono sul sito, è quella di fornire un substrato assolutamente neutro, che non produca sostenze nocive con la progressiva decomposizione e che non faccia ristagnare eventuali essudati metabolici delle piante e salinità del fertilizzante. Al contempo viene garantita l'umidità e l'aereazione delle radici che per le orchidee epifite è molto importante.
Guardando con attenzione il tipo di materiale, credo in realtà che esso possa essere sostituito con fibre plastiche molto simili che si trovano già in commercio per i più svariati usi, dalle sopraccitate spugnette, ad alcuni zerbini che ho già addocchiato in alcuni centri commerciali. Le sperimentazioni continuano.
domenica 11 luglio 2010
Trapianto
Finalmente un vero trapianto, fatto non in emergenza, per un attacco di muffe o un'eccessivo sovraffollamento della fiasca.
Si tratta della phalaenopsis 1/4.
Le piccole phalaenopsis erano cresciute abbastanza, anche se non in maniera uniforme, e contando che il ripicchiettaggio era stato effettuato a ottobre 2009, ho pensato che fosse ormai il caso o di ripicchiettare o di sfiascare. Siccome di substrati da trapianti pronti all'uso non ne ho più, e con il caldo che fa in questi giorni voglia di mettermi a bollire substrati non ne ho, eccoci qua. Le piantine sembrano in gran forma. Il substrato era piuttosto duro e quindi di "radici da substrato" non se ne sono sviluppate molte e quelle che sono cresciute sono piuttosto sottili. E questa è un'altra riprova che bisogna tenere il substrato il più morbido possibile. Se ne sono sviluppate di belle invece di quelle villose.
Il substrato era un Murashige & Skoog senza aggiunta di carbone attivo, e ha messo in risalto gli essudati scuri prodotti dalle piante.
Solito lavaggio accurato delle piccole phalaenopsis con acqua tiepida e un pennellino morbido per rimuovere tutti i residui di agar. Le conclusioni sono che le radici per così dire glabre sono più dure e delicate di quelle "pelose" e tendono a rompersi. La seconda è che quelle villose hanno anche la caratteristica di aderire alle altre piante e sono probabilmente quelle con cui la pianta si attacca alla corteccia d'albero in natura.
Il trapianto è stato fatto in parte su epiweb e in parte su di un mix di corteccia e sfagno a fibra lunga.
L'epiweb è questa sorta di spugna di materiale sintetico di cui parlerò in un prossimo articolo e che sembrerebbe dare dei buoni risultati.
Per quanto riguarda il substrato tradizionale, ho ormai capito che lo sfagno usato puro è piuttosto difficile da controllare nei valori di umidità. Probabilmente sono io che sbaglio qualcosa, ma faccio una certa fatica a fare in modo che sia appena umido in modo uniforme. O mi finisce fradicio e mi fa marcire le piante, o è troppo secco e me le raggrinzisce. Ho quindi optato con un mix di corteccia e sfagno con abbondanza della prima rispetto al secondo. In questo modo il substrato si asciuga un po' più velocemente del solo sfagno, ma l'acqua non ristagna e lo si riesce a inumidire in modo uniforme con un'annaffiatura pressoché tradizionale. So che alcuni tolgono le piantine, bagnano lo sfagno, lo strizzano e poi ci rimettono su le piantine. Ma incomincio ad averne un certo numero e con questo sistema mi va via mezza giornata ogni volta che devo annaffiare.
Adesso sia il manicotto di epi-web, sia i due vasetti con substrato bark-sfagno, sono andati a far compagnia alle altre nella scatola-serra con umidità al 60-70% e temperature che in questi giorni sono forse un po' troppo alte, tra i 32 e i 36 gradi di giorno.
Si tratta della phalaenopsis 1/4.
Le piccole phalaenopsis erano cresciute abbastanza, anche se non in maniera uniforme, e contando che il ripicchiettaggio era stato effettuato a ottobre 2009, ho pensato che fosse ormai il caso o di ripicchiettare o di sfiascare. Siccome di substrati da trapianti pronti all'uso non ne ho più, e con il caldo che fa in questi giorni voglia di mettermi a bollire substrati non ne ho, eccoci qua. Le piantine sembrano in gran forma. Il substrato era piuttosto duro e quindi di "radici da substrato" non se ne sono sviluppate molte e quelle che sono cresciute sono piuttosto sottili. E questa è un'altra riprova che bisogna tenere il substrato il più morbido possibile. Se ne sono sviluppate di belle invece di quelle villose.
Il substrato era un Murashige & Skoog senza aggiunta di carbone attivo, e ha messo in risalto gli essudati scuri prodotti dalle piante.
Solito lavaggio accurato delle piccole phalaenopsis con acqua tiepida e un pennellino morbido per rimuovere tutti i residui di agar. Le conclusioni sono che le radici per così dire glabre sono più dure e delicate di quelle "pelose" e tendono a rompersi. La seconda è che quelle villose hanno anche la caratteristica di aderire alle altre piante e sono probabilmente quelle con cui la pianta si attacca alla corteccia d'albero in natura.
Il trapianto è stato fatto in parte su epiweb e in parte su di un mix di corteccia e sfagno a fibra lunga.
L'epiweb è questa sorta di spugna di materiale sintetico di cui parlerò in un prossimo articolo e che sembrerebbe dare dei buoni risultati.
Per quanto riguarda il substrato tradizionale, ho ormai capito che lo sfagno usato puro è piuttosto difficile da controllare nei valori di umidità. Probabilmente sono io che sbaglio qualcosa, ma faccio una certa fatica a fare in modo che sia appena umido in modo uniforme. O mi finisce fradicio e mi fa marcire le piante, o è troppo secco e me le raggrinzisce. Ho quindi optato con un mix di corteccia e sfagno con abbondanza della prima rispetto al secondo. In questo modo il substrato si asciuga un po' più velocemente del solo sfagno, ma l'acqua non ristagna e lo si riesce a inumidire in modo uniforme con un'annaffiatura pressoché tradizionale. So che alcuni tolgono le piantine, bagnano lo sfagno, lo strizzano e poi ci rimettono su le piantine. Ma incomincio ad averne un certo numero e con questo sistema mi va via mezza giornata ogni volta che devo annaffiare.
Adesso sia il manicotto di epi-web, sia i due vasetti con substrato bark-sfagno, sono andati a far compagnia alle altre nella scatola-serra con umidità al 60-70% e temperature che in questi giorni sono forse un po' troppo alte, tra i 32 e i 36 gradi di giorno.
mercoledì 23 giugno 2010
Germinazione
Alla fine, con la comparsa dei puntini anche sulla seconda fiasca, è venuta la certezza che effettivamente la phalaenopsis cornu cervi stava germinando. Ci ha messo la bellezza di 7 mesi. Una bella prova di pazienza.
Tuttavia le cose non sembrano promettere bene. La prima fiasca infatti già si è fermata, e anche in questa seconda è comparso un liquido lattigginoso, simile a una contaminazione da fermenti anche se mi viene il dubbio che possa essere una qualche sostanza che si produce con il metabolismo dei protocormi. In entrambe le fiasche è infatti comparso contemporaneamente alla germinazione e anzi sta aumentando. Tengo entrambe le fiasche un po' inclinate in modo che questa specie di siero si raccolga di lato non coprendo i piccoli protocormi.
Altro motivo di preoccupazione è il colore delle piccole gemme che rimane invariabilmente chiaro, troppo chiaro. Il timore è che non stia partendo la fotosintesi il che porterebbe al ben noto fenomeno di "browning out". Questa semina tra l'altro era stata fatta per errore sul replate medium e non sul seeding medium specifico per evitare la moria prematura dei protocormi. Ci sono anche le fiasche con semina su seeding medium, ma quelle ancora non stanno dando segnali di vita.
Tuttavia le cose non sembrano promettere bene. La prima fiasca infatti già si è fermata, e anche in questa seconda è comparso un liquido lattigginoso, simile a una contaminazione da fermenti anche se mi viene il dubbio che possa essere una qualche sostanza che si produce con il metabolismo dei protocormi. In entrambe le fiasche è infatti comparso contemporaneamente alla germinazione e anzi sta aumentando. Tengo entrambe le fiasche un po' inclinate in modo che questa specie di siero si raccolga di lato non coprendo i piccoli protocormi.
Altro motivo di preoccupazione è il colore delle piccole gemme che rimane invariabilmente chiaro, troppo chiaro. Il timore è che non stia partendo la fotosintesi il che porterebbe al ben noto fenomeno di "browning out". Questa semina tra l'altro era stata fatta per errore sul replate medium e non sul seeding medium specifico per evitare la moria prematura dei protocormi. Ci sono anche le fiasche con semina su seeding medium, ma quelle ancora non stanno dando segnali di vita.
mercoledì 2 giugno 2010
Fiasca Vs Trapianto
Non ci sono grandi novità ultimamente. Nessun trapianto di rilievo, nessuna muffa nuova. I semi delle semine autunnali non danno segni di vita, le fiasche di cornu cervi che parevano essere sul punto di germinare sono estenuantemente ferme. Solo le piante vere, bletilla, neofinetie e sedirea crescono bene. Chissà se non arrivi anche la fioritura per qualcuna.
Vorrei dare il via ad alcuni trapianti ma un po' di osservazioni in questo momento di stasi mi spingono ad aspettare. Le considerazioni sono relative al fatto che le plantule sfiascate hanno una crescita terribilmente lenta e rachitica come si può notare in questa foto qua sotto.
Mi sembra inoltre di aver notato che le piante appena sfiascate hanno come uno shock per cui arrestano per un po' la crescita. In particolare sembrerebbe che le radici sviluppate nel substrato a base di agar non siano adatte ai substrati di coltivazione successiva, siano essi sfagno, corteccia o mix dei due materiali. I decessi post travaso sono in verità pochi, nella maggior parte dei casi non utilizzo nemmeno il previcur, ma anche quelle piante che sembrano passarsela bene, mantenendo turgore e lucentezza delle foglie, hanno un deciso arresto nella crescita una volta tirate fuori dalle fiasche. Le radici in particolare fermano l'accrescimento, lo si capisce perché perdono la punta chiara che hanno di solito quando sono in piena crescita e diventano di un colore uniforme grigio argento. Alcune finiscono anche per seccarsi o marcire pur senza necessariamente intaccare la pianta. Quelle più delicate sono di solito ricoperte di peluria, simili a nettatubi, che si sviluppano normalmente fuori dall'agar e che probabilmente sono deputate all'assorbimento dell'umidità dell'aria. Evidentemente, per quanto mi sforzi per mantenere agar umido e U.R. oltre il 70%, l'ambiente del dopo trapianto è comunque troppo diverso da quello in cui le piccole phalaenopsis sono cresciute fino a quel momento.
Il deperimento delle radici dura per un mesetto circa e poi la pianta, che non di rado rimane un solo fascetto di foglie, emette nuove radici, che rapidamente affondano nel substrato e allora le vecchie foglie ricominciano a crescere e anzi ne spuntano di nuove.
Le più delicate, e lente nella ripresa, sono ovviamente quelle più piccole. Ecco perché penso che aspetterò che le piante all'interno dei barattoli siano più grandi possibili prima di trapiantare. La tentazione di trapiantare fiasche come quella della prima foto sopra sono forti, anche perché il vetro del vasetto incomincia ad andare stretto, ma dato che le piante continuano a crescere e a emettere nuove foglie, penso che aspetterò un'altro po'. La pianta dovrebbe così avere un maggior quantitativo di scorte energetiche per superare al meglio e il più velocemente possibile lo stress del trapianto. In più la grande traspirazione che hanno le foglie più grandi, questi vasetti fanno sempre una notevole condensa interna, dovrebbe aiutare a mantenere un buon microclima quando le piccole phalaenopsis venissero trapiantate insieme.
Vorrei dare il via ad alcuni trapianti ma un po' di osservazioni in questo momento di stasi mi spingono ad aspettare. Le considerazioni sono relative al fatto che le plantule sfiascate hanno una crescita terribilmente lenta e rachitica come si può notare in questa foto qua sotto.
Mi sembra inoltre di aver notato che le piante appena sfiascate hanno come uno shock per cui arrestano per un po' la crescita. In particolare sembrerebbe che le radici sviluppate nel substrato a base di agar non siano adatte ai substrati di coltivazione successiva, siano essi sfagno, corteccia o mix dei due materiali. I decessi post travaso sono in verità pochi, nella maggior parte dei casi non utilizzo nemmeno il previcur, ma anche quelle piante che sembrano passarsela bene, mantenendo turgore e lucentezza delle foglie, hanno un deciso arresto nella crescita una volta tirate fuori dalle fiasche. Le radici in particolare fermano l'accrescimento, lo si capisce perché perdono la punta chiara che hanno di solito quando sono in piena crescita e diventano di un colore uniforme grigio argento. Alcune finiscono anche per seccarsi o marcire pur senza necessariamente intaccare la pianta. Quelle più delicate sono di solito ricoperte di peluria, simili a nettatubi, che si sviluppano normalmente fuori dall'agar e che probabilmente sono deputate all'assorbimento dell'umidità dell'aria. Evidentemente, per quanto mi sforzi per mantenere agar umido e U.R. oltre il 70%, l'ambiente del dopo trapianto è comunque troppo diverso da quello in cui le piccole phalaenopsis sono cresciute fino a quel momento.
Il deperimento delle radici dura per un mesetto circa e poi la pianta, che non di rado rimane un solo fascetto di foglie, emette nuove radici, che rapidamente affondano nel substrato e allora le vecchie foglie ricominciano a crescere e anzi ne spuntano di nuove.
Le più delicate, e lente nella ripresa, sono ovviamente quelle più piccole. Ecco perché penso che aspetterò che le piante all'interno dei barattoli siano più grandi possibili prima di trapiantare. La tentazione di trapiantare fiasche come quella della prima foto sopra sono forti, anche perché il vetro del vasetto incomincia ad andare stretto, ma dato che le piante continuano a crescere e a emettere nuove foglie, penso che aspetterò un'altro po'. La pianta dovrebbe così avere un maggior quantitativo di scorte energetiche per superare al meglio e il più velocemente possibile lo stress del trapianto. In più la grande traspirazione che hanno le foglie più grandi, questi vasetti fanno sempre una notevole condensa interna, dovrebbe aiutare a mantenere un buon microclima quando le piccole phalaenopsis venissero trapiantate insieme.
mercoledì 28 aprile 2010
Substrato Casalingo
Adesso che l'esperimento può dirsi riuscito, posso farne un post.
La ripicchiettatura è avvenuta giusto un mese fa. Erano delle phalaenopsis di varie semine, per lo più piantine un po' rachitiche, molte su substrato Murashige&Skoog che, pur garantendo un discreto tasso di germinazione (almeno con le phalaenopsis), alla lunga non fa sviluppare molto la piantina, forse per la mancanza di carbone attivo che fa accumulare essudati tossici per la piantina, forse per una certa salinità del composto.
Già che non erano un granché come piantine, mi sono quindi preso il rischio di utilizzarle per fare qualche esperimento con un substrato casalingo. Perse per perse, ho pensato.
Insomma mi sono basato su una ricetta che si trova in giro su vari siti web a tema:
Fertilizzante NPK 20-20-20 1,5 g
20 g di zucchero
1 g di carbone attivo macinato
1 litro di acqua demineralizzata
8 g di Agar Agar
Come fertilizzante ne ho utilizzato uno bilanciato con microelementi per orchidee NPK 5-5-5. Essendo il 5-5-5 diluito di 1/4 rispetto al 20-20-20 ne ho messo 4 volte tanto, quindi circa 6 grammi, qualcosa in meno.
Per quanto riguarda lo zucchero ho usato quello normale da cucina.
Il carbone è quello da acquario polverizzato con un macinacaffé elettrico.
L'agar è quello da negozio di prodotti biologici.
Tutto è stato pesato con una bilancia elettronica da cucina, quindi in modo abbastanza approssimato. Di agar ne ho messo un po' meno per tenere il "budino" un po' più morbido così che le radici possano sprofondarci dentro più facilmente.
Il tutto è stato sciolto in un litro di acqua distillata, messo nei soliti vasetti e sterilizzato in pentola a pressione. Solito trapianto in cappa sterile.
I primi giorni non sono stati dei migliori, in più di una fiasca le foglie delle piantine sono risultate come bruciate, ma non so se per colpa della candeggina o del substrato. Sono più propenso a credere che sia stata la candeggina, anche se non era mai capitato finora.
Penso ciò perché dal trapianto, dopo un un paio di settimane di assestamento, le piantine hanno preso a svilupparsi, le radici si sono allungate, affondando nella gelatina, e stanno mettendo nuove foglie. Il verde è bello intenso e brillante. Le foglie vecchie crescono e, avendo lasciato parecchio spazio tra una e l'altra, spero lo facciano parecchio e in fretta.
Il semplice e spartano composto nutritivo fatto in casa, almeno come medium da trapianti, sembra funzionare.
venerdì 9 aprile 2010
Incubatrice
Ecco dove sono finite le phalaenopsis "sfiascate" nelle puntate scorse. Essendo "parti prematuri" hanno avuto bisogno di un'incubatrice dove potranno, si spera, svilupparsi. In realtà ho capito che più crescono in fiasca meglio è, e infatti, per quanto terribilmente noioso, la settimana scorsa ho fatto un bel po' di trapianti su substrati freschi, alcuni anche fatti in casa. Non appena avrò un po' di dati su questi ultimi esperimenti non mancherò di riportarli.
L'incubatrice dicevamo. Tutto quello di cui dovrebbero aver bisogno le piccole phalaenopsis è luce e umidità elevata. Così ho riciclato uno degli scatoloni in plexiglass in cui avevo messo i barattoli con le semine. E' dotato di due lampade a risparmio energetico anche se ultimamente, grazie all'allungamento delle giornate e all'intensificarsi del sole, o anche solo alla sua presenza dopo quella specie di inverno nucleare che abbiamo avuto quest'anno, di lampade ne sto utilizzando solo una ed esclusivamente la mattina dato che la stanza è esposta a ovest e nel pomeriggio ha un'ottima illuminazione.
Nella scatola ho quindi praticato un foro circolare nel quale ho inserito il tubo flessibile di una vecchia aspirapolvere. L'altra estremità del tubo è infilata in un umidificatore a ultrasuoni che avevo preso quest'inverno per migliorare la qualità dell'aria di casa un po' troppo secca a causa del riscaldamento. L'umidificatore ha una bizzarra forma di tartaruga gialla a cui si illuminano gli occhi quando è in funzione.
Le piantine sono un po' nei bicchieri di plastica con lo sfagno, un po' in vasetti da semina con misto sfano bark, un po in cestelli appesi. Grazie all'igrometro riesco a monitorare l'umidità relativa all'interno della piccola serra. Se scende sotto il 70% attivo l'umidificatore che crea all'interno una simpatica nebbia fresca da foresta pluviale come si può vedere nell'immagine sotto.
Una volta alla settimana circa spruzzo il tutto con del fertilizzante bilanciato per orchidee 5-5-5 a concentrazione dimezzata in acqua distillata con un po' di acqua di rubinetto per garantire il calcio di cui il fertilizzante è sprovvisto.
Siccome l'umidità è appunto molto alta, per evitare formazione di condensa e ristagni all'interno ho posto anche una ventola da computer che smuove l'aria per benino e asciuga la condensa mantenendo l'umidita in circolo. Bisogna dire che nonostante il Made in China, o forse proprio perché costruito per resistere alle umide estati asiatiche, il ventilatore è piuttosto solido. Nonostante sia già un paio di mesi che va in ambiente ad altissima umidità sembra reggere bene.
L'incubatrice dicevamo. Tutto quello di cui dovrebbero aver bisogno le piccole phalaenopsis è luce e umidità elevata. Così ho riciclato uno degli scatoloni in plexiglass in cui avevo messo i barattoli con le semine. E' dotato di due lampade a risparmio energetico anche se ultimamente, grazie all'allungamento delle giornate e all'intensificarsi del sole, o anche solo alla sua presenza dopo quella specie di inverno nucleare che abbiamo avuto quest'anno, di lampade ne sto utilizzando solo una ed esclusivamente la mattina dato che la stanza è esposta a ovest e nel pomeriggio ha un'ottima illuminazione.
Nella scatola ho quindi praticato un foro circolare nel quale ho inserito il tubo flessibile di una vecchia aspirapolvere. L'altra estremità del tubo è infilata in un umidificatore a ultrasuoni che avevo preso quest'inverno per migliorare la qualità dell'aria di casa un po' troppo secca a causa del riscaldamento. L'umidificatore ha una bizzarra forma di tartaruga gialla a cui si illuminano gli occhi quando è in funzione.
Le piantine sono un po' nei bicchieri di plastica con lo sfagno, un po' in vasetti da semina con misto sfano bark, un po in cestelli appesi. Grazie all'igrometro riesco a monitorare l'umidità relativa all'interno della piccola serra. Se scende sotto il 70% attivo l'umidificatore che crea all'interno una simpatica nebbia fresca da foresta pluviale come si può vedere nell'immagine sotto.
Una volta alla settimana circa spruzzo il tutto con del fertilizzante bilanciato per orchidee 5-5-5 a concentrazione dimezzata in acqua distillata con un po' di acqua di rubinetto per garantire il calcio di cui il fertilizzante è sprovvisto.
Siccome l'umidità è appunto molto alta, per evitare formazione di condensa e ristagni all'interno ho posto anche una ventola da computer che smuove l'aria per benino e asciuga la condensa mantenendo l'umidita in circolo. Bisogna dire che nonostante il Made in China, o forse proprio perché costruito per resistere alle umide estati asiatiche, il ventilatore è piuttosto solido. Nonostante sia già un paio di mesi che va in ambiente ad altissima umidità sembra reggere bene.
giovedì 1 aprile 2010
Chissà!?
All'inizio pensavo fosse un principio di muffa. E in realtà ancora un po' di dubbio ce l'ho. Poi guardando meglio, i puntini chiari, forse tendenti un po' al verde, sono apparsi numerosi e con una certa regolarità qua e là lungo il bordo e sulla superficie del substrato. E chissà mai che non sia una germinazione? Ormai non ci spero neanche più, ma l'ipotesi è rivitalizzante.
Sì lo so, entusiasmarsi per dei microscopici puntini verdi su della gelatina grigia è una cosa abbastanza triste. Che ci posso fare!?
Si tratta di una fiasca di repleting media dell'Orchid Seed Bank Project erroneamente (il substrato sarebbe in realtà per i trapianti) seminato con phalaenopsis cornu cervi. La semina è avvenuta niente di meno che a novembre scorso. Novembre, dicembre, gennaio, febbraio, marzo. 5 mesi. Se la prende comoda. Sempre ammesso e non concesso che sia effettivamente una germinazione.
La cosa singolare è che il mutamento è avvenuto proprio quando ho spostato il vasetto dall'"incubatrice" e l'ho messo su di una libreria ben illuminata da luce naturale ma indiretta. E' proprio attaccata alla cassa dell'impianto stereo. E sarebbe bello pensare che le trasmissioni di Radio24, Radio Dee Jay e Radio Capital possano aver influenzato il risveglio dei semi. Certo, non è il Mozart che si consiglia di far andare nelle serre, ma magari le vibrazioni in generale servono.
O più verosimilmente la luce e una media termica più appropriata rispetto a dove il vasetto stava prima hanno favorito il risveglio.
Poi magari si scoprirà che non è nient'altro che muffa. Il vasetto tra l'altro è leggermente attaccato da quello che credo sia un fermento. Il liquido di condensa è infatti leggermente lattiginoso. Cosa capitata anche nella prima fiasca di Phalaenopsis 1/1 ma che non le impedì comunque di germinare illo tempore.
Vedremo l'evoluzione. Nel frattempo ho messo nella stessa posizione un po' di altri vasetti. Chissà che Oscar Giannino, Cruciani, Linus e Nicola Savino non abbiano un po' di buona influenza anche su altre semine.
mercoledì 31 marzo 2010
Orchidee in vitro
Devo ammetterlo, a me stesso prima che ad altri. La cosa mi è un po' sfuggita di mano. Con gli ultimi trapianti, le ultime semine, gli esperimenti coi substrati di trapianto fatti in casa, a varie concentrazioni, ecc, il quantitativo di fiasche mi è un po' esploso. Negli scatoloni in plexiglass non ci stavano più e poi, complice la bella stagione che, lentamente, avanza, le giornate più lunghe e le temperature miti, le ho sparpagliate per la casa. Queste della foto sono quelle che ho ammassato davanti alla finestra della stanza con esposizione nord-ovest. A tardo pomeriggio devo tirare la tenda per evitare l'esposizione diretta. Altre sono sui mobili di altre stanze con esposizioni diverse. Alcune spero di dimenticarmele in quanto l'attesa della germinazione delle semine fatte ormai nel lontano novembre, si fa snervante. Qualcosa in realtà sembra muoversi in una fiasca di phalaenopsis cornu cervi, ma per scaramanzia aspetto a parlarne.
Incomincio a pensare che sarebbe il caso di liberarsene o quantomeno di fare qualche scmabio con altri "fiaschisti". Il problema è che non è propriamente un hobby diffuso. Tra i miei amici non c'è nessuno che coltiva orchidee in-vitro.
AAA. Cercasi fiasche di orchidee germinate, qualsiasi varietà, da scambiare con fiasche di phalaenopsis con varie fasi di crescita e a varia densità di impianto.
Incomincio a pensare che sarebbe il caso di liberarsene o quantomeno di fare qualche scmabio con altri "fiaschisti". Il problema è che non è propriamente un hobby diffuso. Tra i miei amici non c'è nessuno che coltiva orchidee in-vitro.
AAA. Cercasi fiasche di orchidee germinate, qualsiasi varietà, da scambiare con fiasche di phalaenopsis con varie fasi di crescita e a varia densità di impianto.
domenica 28 marzo 2010
Neo-Neofinetia Falcata
Ecco un altro degli arrivi diretti dal Giappone. Un'altra Neofinetia Falcata. E' piccolina, solo due apici, pochi centimetri in tutto, montata su muschio in un proporzionalmente piccolo vaso di coccio. Tutte le lunghe radici al vento.
A prima vista sembrava aver sofferto parecchio per il lungo viaggio, chiusa in un contenitore di cartone di caffé Doutor (nota catena giapponese tipo Starbucks) e stipata nel bagaglio a mano della stiva che, come ho avuto modo di misurare con l'igrometro in un viaggio, ha tassi di umidità relativa attorno al 10%. Roba da deserto arabo.
L'avevo messa per un po' nell'"incubatrice" con le phalaenopsis appena sfiascate.
In realtà penso che il colore un po' sbiadito tipo latte-menta sia proprio una caratteristica di questa varietà. La neofinetia pare infatti abbia una grande variabilità genetica. A riprova del fatto che tuttosommato è in forma c'è un accenno di foglia nuova che fa capolino da qualche giorno da uno dei due apici e una radice che ha preso a crescere. Altra particolarità è proprio la punta nuova delle radici che è di un bel color rosso rubino.
Adesso sta nell'intercapedine delle doppie finestre assieme alle altre compagne nipponiche.
A prima vista sembrava aver sofferto parecchio per il lungo viaggio, chiusa in un contenitore di cartone di caffé Doutor (nota catena giapponese tipo Starbucks) e stipata nel bagaglio a mano della stiva che, come ho avuto modo di misurare con l'igrometro in un viaggio, ha tassi di umidità relativa attorno al 10%. Roba da deserto arabo.
L'avevo messa per un po' nell'"incubatrice" con le phalaenopsis appena sfiascate.
In realtà penso che il colore un po' sbiadito tipo latte-menta sia proprio una caratteristica di questa varietà. La neofinetia pare infatti abbia una grande variabilità genetica. A riprova del fatto che tuttosommato è in forma c'è un accenno di foglia nuova che fa capolino da qualche giorno da uno dei due apici e una radice che ha preso a crescere. Altra particolarità è proprio la punta nuova delle radici che è di un bel color rosso rubino.
Adesso sta nell'intercapedine delle doppie finestre assieme alle altre compagne nipponiche.
lunedì 22 marzo 2010
春欄 L'orchidea di primavera
Il tempismo è decisamente il suo forte. In giapponese il suo nome è 春欄 (shunran), che significa letteralmente "orchidea di primavera". L'altro ieri era il 21 marzo, primo giorno di primavera, e lei, brava brava, è fiorita. Cavoli, manco avesse il calendario in testa. Il nome scientifico, ad essere precisi, è Cymbidium Goeringii, altra storica orchidea dalla lunga tradizione e molto apprezzata in Giappone, Cina e Corea.
Ero indeciso se "presentarla al pubblico", in quanto anche con lei in realtà ho barato. Nel senso che anche questa pianta mi è arrivata fatta e finita e anzi con già il bocciolo. Fa parte di una partita di orchidee che mi sono state regalate e provengono direttamente dal Giappone. A farle compagnia c'erano una piccola Neofinetia Falcata un po' ingiallita, e tre Dendrochilum Wenzelii. Neofinetia e Dendrochilum sono apparse le più provate dal lungo viaggio, e nonostante l'accurato imballaggio sono arrivate un po' danneggiate. Il Cymbidium in particolare ha perso due dei tre boccioli che aveva e ha alcune delle lunghe foglie piegate e un po' ingiallite. Un bocciolo fortunatamente è sopravvissuto e finalmente ieri si è aperto. E' un fiore discreto, basso sul livello del terreno, e di colore verde pallido un po' come le foglie, ma ha un suo fascino particolare, come d'altronde tutte la orchidee.
Penso che lo lascerò in pace per un po' e poi potrei provare a fare un'autoimpollinazione e dar così vita a un nuovo ciclo di vasi e vasetti. O magari utilizzarne il polline per fare qualche incrocio con cymbidium commerciali.
Ah, dimenticavo, è profumata. Ha uno strano odore di pancetta affumicata durante il giorno che verso sera vira al vaniglia.
Ero indeciso se "presentarla al pubblico", in quanto anche con lei in realtà ho barato. Nel senso che anche questa pianta mi è arrivata fatta e finita e anzi con già il bocciolo. Fa parte di una partita di orchidee che mi sono state regalate e provengono direttamente dal Giappone. A farle compagnia c'erano una piccola Neofinetia Falcata un po' ingiallita, e tre Dendrochilum Wenzelii. Neofinetia e Dendrochilum sono apparse le più provate dal lungo viaggio, e nonostante l'accurato imballaggio sono arrivate un po' danneggiate. Il Cymbidium in particolare ha perso due dei tre boccioli che aveva e ha alcune delle lunghe foglie piegate e un po' ingiallite. Un bocciolo fortunatamente è sopravvissuto e finalmente ieri si è aperto. E' un fiore discreto, basso sul livello del terreno, e di colore verde pallido un po' come le foglie, ma ha un suo fascino particolare, come d'altronde tutte la orchidee.
Penso che lo lascerò in pace per un po' e poi potrei provare a fare un'autoimpollinazione e dar così vita a un nuovo ciclo di vasi e vasetti. O magari utilizzarne il polline per fare qualche incrocio con cymbidium commerciali.
Ah, dimenticavo, è profumata. Ha uno strano odore di pancetta affumicata durante il giorno che verso sera vira al vaniglia.
mercoledì 17 marzo 2010
Niente Phalaenopsis 2
All'inizio non ci avevo nemmeno fatto troppo caso. Qualche muffa, qualche fiasca che si perde, sono cose normali. Poi, nei trapianti e riorganizzazioni delle coltivazioni delle scorse settimane, a un certo punto mi sono reso conto che era un po' che non mi capitavano sotto gli occhi etichette di phalaenopsis 2. Ho fatto un controllo accurato ed effettivamente sono scomparse tutte.
Non ci avevo fatto caso, ma probabilmente, tutti i fallimenti di protocormi, anche in fase avanzata, verificatisi nei mesi scorsi, sono capitati in fiasche di phalaenopsis 2. E le fiasche non erano nemmeno poche in quanto la capsula era quella di maggiori dimensioni. A questo punto direi che la cosa non è stata casuale, ma deve aver avuto a che fare con problemi di genetica della pianta o con contaminazioni dei semi, forse virali, ma sicuramente ne' batteriche ne' fungine in quanto non vi sono state alterazioni del substrato.
Lo chiamano "browning out" su siti in lingua inglese, imbrunimento dei protocormi, e pare che ancora non siano molto chiare le cause scatenanti. Pare che l'aggiunta di banana al medium prevenga questo problema, anche se un suo eccesso, di contro, può inibire la fioritura. Effettivamente nei medium dell'orchid seed bank project di banana ce n'è, anche se finora, ahimé, non ho ancora avuto risultati da essi.
Insomma, in conclusione, niente più phalaenopsis 2. In realtà del polline di questa pianta deve essere stato usato per fecondare qualche fiore di phalaenopsis 1 e 3, anche se purtroppo, non avendo tenuto nota degli inccroci effettuati, non posso risalire a quale, almeno fino ad eventuali fioriture.
Non ci avevo fatto caso, ma probabilmente, tutti i fallimenti di protocormi, anche in fase avanzata, verificatisi nei mesi scorsi, sono capitati in fiasche di phalaenopsis 2. E le fiasche non erano nemmeno poche in quanto la capsula era quella di maggiori dimensioni. A questo punto direi che la cosa non è stata casuale, ma deve aver avuto a che fare con problemi di genetica della pianta o con contaminazioni dei semi, forse virali, ma sicuramente ne' batteriche ne' fungine in quanto non vi sono state alterazioni del substrato.
Lo chiamano "browning out" su siti in lingua inglese, imbrunimento dei protocormi, e pare che ancora non siano molto chiare le cause scatenanti. Pare che l'aggiunta di banana al medium prevenga questo problema, anche se un suo eccesso, di contro, può inibire la fioritura. Effettivamente nei medium dell'orchid seed bank project di banana ce n'è, anche se finora, ahimé, non ho ancora avuto risultati da essi.
Insomma, in conclusione, niente più phalaenopsis 2. In realtà del polline di questa pianta deve essere stato usato per fecondare qualche fiore di phalaenopsis 1 e 3, anche se purtroppo, non avendo tenuto nota degli inccroci effettuati, non posso risalire a quale, almeno fino ad eventuali fioriture.
giovedì 4 marzo 2010
Ammettere la Sconfitta
Ho ceduto. In fondo è stato un po' ammettere la sconfitta. I semi di bletilla, quella che tutti danno come l'orchidea più facile da seminare, a me non hanno germogliato. Può darsi che sia un problema di semi troppo vecchi, o sterili. Ma io voglio pensare che sia in realtà un problama di cattivo karma. Nelle mie relazioni con la bletilla ci sono solo stati disastri. Semi sparsi ovunque, muffe, fiasche cadute. E naturalmente la mancata germinazione. Ce ne sono ancora di fiasche qua e là nella scatola che mi fa da serra. In Phytamax, in Germination Media, in Murashige&Skoog, in Repleting Media, a piena concentrazione, a concentrazione dimezzata. Niente. In rete c'è gente che la fa germinare in semplice terra, su corteccia, su sfagno. E io niente. Sia chiaro, i vasetti li tengo lì, non li butto, però il sospetto che abbia fallito c'è tutto, sempre più forte.
E così l'altro giorno ho ceduto e mi sono aggiudicato un lotto di bulbi di bletilla sul famoso sito di aste on-line. La bletilla striata a quanto pare è un bene prezioso. Forse non si arriverà al punto di usarne i bulbi come moneta di scambio come si faceva in Olanda nei secoli trascorsi, ma le quotazioni di queste piante raggiungono cifre ragguardevoli in aste serratissime. Alla fine la mia comunissima bletilla violetta l'ho portata via per poco più di 10 euro, ma ci sono varietà di bletilla azzurra, bianca, crema, che schizzano a 40 e passa euro per qualche bulbetto.
Il rivenditore era in Inghilterra, e in una settimana mi è arrivato il pacchetto. E' sempre un'emozione rara aprire un pacchetto.
Dentro c'erano 5 o sei bulbi di varie grandezze già con il loro bel germoglio avvolti in sfagno umido. Li ho piantati in un vaso capiente con terriccio, corteccia, sabbia e un po' di akadamatsuchi che ho preso a un prezzo scandaloso per trapiantare il mio ume portato dal Giappone. Vediamo che succede.
Con lo sfagno che avvolgeva le radici ho provato un nuovo esperimento. L'ho messo in un barattolo e ci ho seminato un po' dei semi che ancora mi avanzavano. Magari lo sfagno è impregnato di micorriza specifica per bletilla. Vedremo, tentar non nuoce. Tanto ormai.
martedì 23 febbraio 2010
Trapianto di Emergenza
Stamane apprestandomi a un ultimo, disperato tentativo di semina di bletilla striata, mentre spostavo un po' di vasetti dalla cappa sterile che quando non è in uso adopero come serra, ho notato dei puntini rosa in uno dei contenitori da analisi che, riempiti di substrato gealatinizzato, avevo provato a usare per il ripichiettaggio. Il colore era molto bello a vedersi (lo si nota al centro, come macchioline e sulla destra lungo una radice), ma in realtà sapevo benissimo che si trattava di una contaminazione fungina che richiedeva un immediato trapianto. Ho così aperto il vasetto e compiuto ancora una volta tutte le operazioni: lavaggio dai residui di agar con acqua tiepida e pennello, bagno in soluzione di previcur e impianto su sfagno umido. Lo sfagno è stato collocato ancora nel vasetto da analisi che però ho lavato in abbondante candeggina. Sul fondo ho posto uno strato di carbone attivo e sopra un bel po' di sfagno su cui ho adagiato le piantine. Questo giro provo a non preoccuparmi troppo dell'aerazione e chiudo con il tappo a vite posizionando di nuovo il vasetto nella scatola "foto-termica".
Le piantine sembrano in gran forma in realtà, speriamo che la contaminazione non le abbia invece già compromesse. Hanno sviluppato delle radici fenomenali, caratteristica genetica che hanno preso dalla pianta madre, la Phalaenopsis 1. Questa era la capsula 3, una di quelle che ha dato i risultati migliori, ma che non ricordo con che cosa era stata incrociata.
Le piantine sembrano in gran forma in realtà, speriamo che la contaminazione non le abbia invece già compromesse. Hanno sviluppato delle radici fenomenali, caratteristica genetica che hanno preso dalla pianta madre, la Phalaenopsis 1. Questa era la capsula 3, una di quelle che ha dato i risultati migliori, ma che non ricordo con che cosa era stata incrociata.
domenica 21 febbraio 2010
Primi trapianti
Ieri giornata lunga e difficile. Così alla sera decido di dedicarmi a un po' di sana pratica zen e trapianto 5 vasetti delle phalaenopsis seminate l'estate scorsa. C'era un po' di tutto, una fiasca non era mai nemmeno stata ripicchiettata, una era stata ripicchiettata un paio di volte, qualche piantina era già cresciutella qualche altra poco più che un protocormo. Le ho trapiantate tutte.
Per rendere complicate, e molto zen, le cose, ho deciso di tenerle separate per capsula. Ho così preparato un bicchierino di plastica per ciascuna fiasca, riempito con acqua tiepida e ho sistemate dentro le plantule di phalaenopsis. Su ciascun bicchierino, con un pennarello indelebile ho poi scritto le caratteristiche della semina così come erano riportate sulle fiasche. Con un pennello da pittore in morbido pelo di bue ho poi rimosso tutti i rimasugli di gel nutritivo. Aiutandomi con una spatola ho separato quelle piantine che si erano avvinghiate le une alle altre. Ripulito il tutto le ho poi immerse in una soluzione di previcur, fitofarmaco che dovrebbe prevenire marciumi e muffe.
Nel frattempo ho preparato degli altri bicchierini nei quali, sulla metà inferiore ho inciso tutta una serie di feritoie parallele per favorire il drenaggio e l'aerazione. Ho quindi riempito i bicchierini di sfagno e, sempre con l'aiuto della spatolino, gli ho sistemato dentro le piantine di phalaenopsis, stando attento che le radici fossero ben coperte. Lo sfagno era già abbastanza umido così non l'ho ulteriormente bagnato. Ho coperto i bicchierini così preparati con del cellophane e li ho sistemati nella serra. L'umidità, tenuta sotto controllo con l'igrometro, è tra l'85 e il 90%, con l'aumento di materiale umido all'interno si è molto innalzata rispetto ai giorni scorsi . C'è molta tendenza a fare condensa così tendo ad attivare la ventola da pc con maggior frequenza.
A distanza di 24 ore dal trapianto le piantine sembrerebbero essere in buona forma. E' forse ancora presto per dirlo. Vedremo nei prossimi giorni.
Per rendere complicate, e molto zen, le cose, ho deciso di tenerle separate per capsula. Ho così preparato un bicchierino di plastica per ciascuna fiasca, riempito con acqua tiepida e ho sistemate dentro le plantule di phalaenopsis. Su ciascun bicchierino, con un pennarello indelebile ho poi scritto le caratteristiche della semina così come erano riportate sulle fiasche. Con un pennello da pittore in morbido pelo di bue ho poi rimosso tutti i rimasugli di gel nutritivo. Aiutandomi con una spatola ho separato quelle piantine che si erano avvinghiate le une alle altre. Ripulito il tutto le ho poi immerse in una soluzione di previcur, fitofarmaco che dovrebbe prevenire marciumi e muffe.
Nel frattempo ho preparato degli altri bicchierini nei quali, sulla metà inferiore ho inciso tutta una serie di feritoie parallele per favorire il drenaggio e l'aerazione. Ho quindi riempito i bicchierini di sfagno e, sempre con l'aiuto della spatolino, gli ho sistemato dentro le piantine di phalaenopsis, stando attento che le radici fossero ben coperte. Lo sfagno era già abbastanza umido così non l'ho ulteriormente bagnato. Ho coperto i bicchierini così preparati con del cellophane e li ho sistemati nella serra. L'umidità, tenuta sotto controllo con l'igrometro, è tra l'85 e il 90%, con l'aumento di materiale umido all'interno si è molto innalzata rispetto ai giorni scorsi . C'è molta tendenza a fare condensa così tendo ad attivare la ventola da pc con maggior frequenza.
A distanza di 24 ore dal trapianto le piantine sembrerebbero essere in buona forma. E' forse ancora presto per dirlo. Vedremo nei prossimi giorni.
giovedì 18 febbraio 2010
Consolazione
Nessuna delle semine fatte negli scorsi mesi sta dando segni di vita, su nessuno dei substrati. Delle uniche due fiasche di bletilla che mostrano qualche flebile segnale, una è stata all'improvvisa aggredita da una muffa bianca che nel giro di 24 ore ha ricoperto tutta la superfice del substrato.
Insomma, non è proprio uno dei periodi migliori per le semine.
Alla ricerca di un po' di consolazione, e compensazione, pubblico una foto di una delle semine migliori. Viene dalla terza capsula della phalaenopsis 1, quella che finora ha mostrato più forza e vigore nella crescita. E' stata trapiantata su un replete medium dell'Orchid Seed Bank che forse ha aiutato anche se buona parte del successo penso sia proprio dovuto alla genetica. Le radici in particolare si sono allungate molto, alcune affondando nel substrato non troppo duro e sollevando il corpo stesso della pianta. In un altro vasetto di phalaenopsis 1 capsula 3 le radici sono cresciute in aria allargandosi a dismisura. Fanno una certa impressione a vedersi.
Con la buona stagione penso che deflaskerò.
Nell'attesa di qualche germinazione....
Insomma, non è proprio uno dei periodi migliori per le semine.
Alla ricerca di un po' di consolazione, e compensazione, pubblico una foto di una delle semine migliori. Viene dalla terza capsula della phalaenopsis 1, quella che finora ha mostrato più forza e vigore nella crescita. E' stata trapiantata su un replete medium dell'Orchid Seed Bank che forse ha aiutato anche se buona parte del successo penso sia proprio dovuto alla genetica. Le radici in particolare si sono allungate molto, alcune affondando nel substrato non troppo duro e sollevando il corpo stesso della pianta. In un altro vasetto di phalaenopsis 1 capsula 3 le radici sono cresciute in aria allargandosi a dismisura. Fanno una certa impressione a vedersi.
Con la buona stagione penso che deflaskerò.
Nell'attesa di qualche germinazione....
mercoledì 17 febbraio 2010
Igrometro
Ecco uno degli acquisti fatti nell'ultimo viaggio in Giappone. Un igrometro. Ha anche il termometro. E' il quadrante più in basso. Tutto rigorosamente Made in Japan. E' andato a fare compagnia ai vasetti aperti e alle vaschette con lo sfagno dove sono state trapiantate le prime piantine di phalaenopsis tolte dal substrato nutritivo per le quali, adesso, è importante tenere monitorato il tasso di umidità all'interno del box di plastica in cui si trovano assieme alla luce da acquario.
Lo volevo con lancetta in quanto, oltre ad avere una passione per l'old fashioned, dato che dovrà stare in ambiente tendenzialmente molto umido, temevo che i circuiti di un igrometro digitale potessero alla lunga soffrirne. Sì, lo so, ci sono quelli con la sonda esterna, ma non volevo spendere eccessivamente. Questo è costato nemmeno 10 euro, ed è tra l'altro di un'azienda tradizionalmente specializzata in strumentazione di bordo per navi.
Al momento, nel box c'è un'umidità di circa 70/80 %, che dovrebbe andare bene per i giovani virgulti, assieme a una temperatura attorno ai 27/28 gradi, garantita dal calore del tubo fluorescente che illumina il tutto. Ciò ovviamente tende a fare un po' di condensa per cui ho anche sistemato una ventola da computer che accendo di tanto in tanto quando la condensa si fa eccessiva così da evitare, si spera, muffe e marciumi.
Lo volevo con lancetta in quanto, oltre ad avere una passione per l'old fashioned, dato che dovrà stare in ambiente tendenzialmente molto umido, temevo che i circuiti di un igrometro digitale potessero alla lunga soffrirne. Sì, lo so, ci sono quelli con la sonda esterna, ma non volevo spendere eccessivamente. Questo è costato nemmeno 10 euro, ed è tra l'altro di un'azienda tradizionalmente specializzata in strumentazione di bordo per navi.
Al momento, nel box c'è un'umidità di circa 70/80 %, che dovrebbe andare bene per i giovani virgulti, assieme a una temperatura attorno ai 27/28 gradi, garantita dal calore del tubo fluorescente che illumina il tutto. Ciò ovviamente tende a fare un po' di condensa per cui ho anche sistemato una ventola da computer che accendo di tanto in tanto quando la condensa si fa eccessiva così da evitare, si spera, muffe e marciumi.
domenica 31 gennaio 2010
Progetto piantine su corteccia
Un breve aggiornamento su un esperimento effettuato su alcune piantine ancora all'inizio di novembre.
Si trattava di alcune piccole phalaenopsis, purtroppo la catalogazione, nei continui ripicchiettagi, sta un po' andando a farsi benedire per cui ormai mi riferirò ad esse come phalaenopsis generiche. Erano state ripicchiettate in ambiente sterile in due vasetti con mix di corteccia, sfagno, carbone attivo e fertilizzante, sigillati e sterilizzati in pentola a pressione.
Il primo, nella foto in alto, è ancora sigillato. La crescita non pare fenomenale, ma le piantine stanno bene e le radici, lentamente, si stanno espandendo. Nessuna traccia di muffa o contaminazioni di sorta.
Si trattava di alcune piccole phalaenopsis, purtroppo la catalogazione, nei continui ripicchiettagi, sta un po' andando a farsi benedire per cui ormai mi riferirò ad esse come phalaenopsis generiche. Erano state ripicchiettate in ambiente sterile in due vasetti con mix di corteccia, sfagno, carbone attivo e fertilizzante, sigillati e sterilizzati in pentola a pressione.
Il primo, nella foto in alto, è ancora sigillato. La crescita non pare fenomenale, ma le piantine stanno bene e le radici, lentamente, si stanno espandendo. Nessuna traccia di muffa o contaminazioni di sorta.
Il secondo, quello in cui era stato inserito il sistema di aerazione, invece alla fine è stato aperto ancora all'inizio di dicembre. Anche qui le piantine non sembrano aver avuto problemi, anzi, forse la crescita è leggermente più consistente rispetto a quello ancora sigillato. L'unico problema è che il substrato, essendo il vasetto posto all'interno della "serra" illuminata e riscaldata dove vi sono i barattoli con le semine su agar, tende invece a seccarsi in tempi relativamente rapidi per cui sono necessarie frequenti spruzzature d'acqua. Di contro, le radici, andando in cerca di umidità, hanno preso a svilupparsi verso il basso intrufolandosi tra sfagno e corteccia, a differenza della piantine in gelatina le cui radici vanno un po' dove vogliono, spesso in aria.
Per il momento sto utilizzando semplice acqua di rubinetto a temperatura ambiente ma credo sarà meglio passare a breve ad acqua distillata per non saturare il piccolo ambiente di calcare e sali. In oltre bisognerà cominciare a monitorare l'umidità della piccola serra fatta in casa affinché l'aria non si secchi troppo.
In ogni caso si può dire che il test per rendere il passaggio dall'agar all'ambiente esterno meno traumatico per le piantine, sembrerebbe aver avuto successo. C'è sempre la scocciatura che bisognerà sterilizzare substrato e tutto, ma penso proprio che replicherò anche per i futuri trapianti.
Per il momento sto utilizzando semplice acqua di rubinetto a temperatura ambiente ma credo sarà meglio passare a breve ad acqua distillata per non saturare il piccolo ambiente di calcare e sali. In oltre bisognerà cominciare a monitorare l'umidità della piccola serra fatta in casa affinché l'aria non si secchi troppo.
In ogni caso si può dire che il test per rendere il passaggio dall'agar all'ambiente esterno meno traumatico per le piantine, sembrerebbe aver avuto successo. C'è sempre la scocciatura che bisognerà sterilizzare substrato e tutto, ma penso proprio che replicherò anche per i futuri trapianti.
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