sabato 21 maggio 2011

Sfiascamento in semi-idroponica

Dopo un doveroso periodo di sperimentazione, credo di poter incominciare a trarre qualche conclusione su di un metodo di coltivazione che si va progressivamente affermando tra gli appassionati orchidofili. In questo post non si parlerà però della coltivazione ordinaria, per la quale si trova ormai parecchio materiale informativo ed esperienze anche in rete, ma per quello che invece concerne l'applicazione alla riproduzione in vitro delle orchidee, in particolare in quel delicato momento rappresentato dal trasferimento dall'ambiente protetto e asettico della fiasca all'ambiente esterno, con il trapianto dal gel nutritivo a un nuovo substrato di coltivazione.
Nonostante avessi letto da qualche in parte in rete che il sistema semi-idroponico non era consigliato per i trapianti da fiasca ad abiente esterno, i risultati ottenuti sono stati talmente positivi da convincermi a trasferire progressivamente tutte le plantule in vasi che adottano questo metodo.

Il sistema è presto detto. Il metodo di cultura semi-idroponico utilizza un medium interte, nel mio caso ho utilizzato argilla espansa e/o lapillo vulcanico. Materiali che, a differenza dello sfagno, sono di facilissima reperibilità e bassissimo costo. La pianta viene messa in un vaso riempito con questo medium che deve rimanere immerso per alcuni centimetri in acqua. In rete ho visto alcuni sistemi che utilizzano vecchie bottiglie pet, tagliate, su cui vengono praticati dei fori a uno/due centimetri dal fondo del contenitore così da creare sul fondo una sorta di serbatoio di acqua che quando è in eccesso esce da queste aperture praticate.
Io in realtà utilizzo un sistema più semplice e secondo me più pratico e funzionale (vedremo poi perché), cioè semplici vasi di plastica posti su un sotto vaso abbastanza fondo così da fare da riserva d'acqua per il medium e quindi la pianta.

La foto sotto mostra una piantina di pochi millimetri di apertura fogliare. Proviene da una fiasca problematica, di piante abbastanza deboli per un esaurimento di un substrato casalingo. Il sistema radicale non era molto ben sviluppato e molte piante nella fiasca, più volte ripicchiettata, stavano morendo. Così ho deciso di trapiantare e di fare una prova con il semi-idroponico.

A distanza di meno di un mese da quando è stata ripicchiettata su lapillo vulcanico sta iniziando ora a crescere una nuova fogliolina, la si vede al centro. Per vedere un risultato analogo su sfagno ci sarebbero voluti mesi.

Questa immagina mostra invece una ripicchiettatura ancora più recente di piante sane. La nuova radice ha iniziato a svilupparsi con ancor maggiore rapidità e vigore.

In ques'altra si nota come la radice sviluppatasi nel substrato di agar, una volta messa in idroponica abbia continuato a crescere senza interruzioni. La parte di maggior diametro e ricoperta di villi chiari è quella cresciuta nel gel, la parte più affusolata e verde chiaro è la parte cresciuta nel substrato. Normalmente nelle plantule di phalaenopsis poste in sfagno o corteccia, le radici cresciute in gel arrestano la crescita fino a quando nuove radici, adatte al nuovo substrato, crescono, il che accade dopo parecchio.

La crescita della pianta in semi-idroponica è molto rapida come si può notare in questa pianta di phalaenopsis sfiascata alcuni mesi fa. Le ultime due foglie sono quelle che ha emesso in rapida successione da quando è stata sfiascata in un mix di argilla espansa e lapillo vulcanico.

In conclusione, un rapido confronto dei vantaggi riscontrati nello sfiascamento delle piantule di phalaenopsis in semi-idroponica rispetto allo sfagno.

1. Riduzione dello stress da cambio di substrato. La pianta continua a crescere, anzi spesso accellera la crescita dal momento in cui viene posta in semi-idroponica.

2. I molti villi radicali che si sviluppano nell'ambiente ad alta umidità della fiasca normalmente avvizziscono in sfagno o corteccia, mentre in semi-idroponica paiono mantenere la propria funzionalità.

3. Bassissima, quasi irrilevante, mortalità delle plantule che invece negli altri substrati rappresenta una percentuale considerevole. In particolare con lo sfagno è molto difficile mantenere il giusto grado di umidità e spesso si rischiano estremi opposti con rischi di marciume quando troppo bagnato o di avvizzimento quando troppo asciutto. In particolare, con lo sfagno è difficile mantenere un livello di umidità costante.

4. Rapida e costante crescita fogliare.

Per concludere direi che un metodo di sfiascamento/coltivazione non è migliore degli altri in senso assoluto, ma relativamente alle specifiche condizioni ambientali (umidità e temperatura soprattutto) da zona di coltivazione a zona di coltivazione e dalle specifiche idiosincrasie del coltivatore, che può o meno avere la possibilità di tenere alla giuste condizioni, per un particolare tipo di substrato, le piante.

La fertilizzazione avviene a quasi ogni annaffiatura con un normale concime con microelementi e a basso tenore di azoto ureico per cercare di contenere accumuli salini nel substrato, cosa che stando a tutti i testi di coltivazione va evitato. Il fertilizzante viene diluito a meno della metà della concentrazione consigliata, in 2/3 di acqua distillata e 1/3 di acqua di rubinetto.
Ogni paio di settimane i vasi vengono abbondantemente risciacquati in acqua corrente. E qui entra in gioco il vaso. Utilizzando normali vasi in plastica aperti sotto, il risciacquo credo avvenga in maniera più completa rispetto ai vasi chiusi con fori a metà vaso che mantengono un serbatoio fisso.

domenica 15 maggio 2011

Che fine ha fatto il keiki

Credo di non andare troppo fuori tema a mostrare una fioritura. In fondo un keiki è pur sempre un metodo di riproduzione asimbiotica.
Si tratta di un aggiornamento della Palaenopsis 3. I keiki erano spuntati nell'autunno 2009. Dapprima lentamente, avevano poi dato una certa accellerata nello sviluppo, e anzi avevano dato luogo a steli floreali autonomi mentre ancora erano attaccati alla pianta madre, creando un effetto davvero "spettinato" nell'insieme. Gli steli floreali tuttavia avevano mostrato scarsa forza tanto che nessuno era giunto a fioritura.
Così circa 3 mesi fa ho provveduto a rimuoverne uno e più recentemente altri due. Il terzo è ancora attaccato alla pianta madre. E' infatti l'unico che è riuscito a portare a fioritura lo stelo che aveva prodotto e avendo impollinato con successo uno dei fiori, adesso ho timore che a rimuoverlo possa far cadere la capsula.
Ad ogni modo i primi tre distacchi sono andati molto bene. Ormai credo di aver trovato il sistema di allevamento definitivo per le phalaenopsis, sia per le defiascature delle plantule (nuovi post di approfondimento a riguardo sono in arrivo), sia per la normale coltivazione. Si tratta della cultura semi-idroponica. Dopo alcuni tentativi con l'argilla espansa, sono ora passato al più stabile lapillo vulcanico. Quanto prima proverò alcune sperimentazione di semi-idroponica su sedirea e neofinetia.
Ad ogni modo gli effetti sono stati notevoli anche con i keiki. Il primo trapiantato che era già abbastanza grosso con una radice già abbastanza lunga ha subito sviluppato nuove radici, ha ulteriormente ingrandito le foglie e ha emesso uno stelo floreale che nel giro di 2-3 mesi ha portato a fioritura i due fiori che si vedono nella foto sopra. Un altro keiki in semi-idroponica, per ora sistemato nell'intercapedine di un doppio vetro, sta sviluppando nuove radici e uno stelo floreale dal moncone di un prcedente stelo. L'ultimo ad essere stato trapiantato, posto in serra ad alta umidità, ha emesso una nuova foglia e uno stelo completamente nuovo sebbene le dimensioni della pianta siano ancora piuttosto contenute, non più di una decina di centimetri sull'asse più lungo delle foglie.
Lo sviluppo dei keiki non è proprio il più esaltante dei metodi di riproduzione asimbiotica per orchidee in quanto le piante che ne derivano sono tutte identiche alla pianta madre e non vi è quindi l'aspettativa del vedere un nuovo ibrido. Comunque, vederne uno a fioritura è pur sempre una soddisfazione.