lunedì 16 novembre 2009

Neofinetia Falcata 富貴蘭

Alla fine è arrivata. E' vero, con gli ultimi arrivi dall'America mi ero ripromesso di dare un taglio allo shopping compulsivo su internet. E' altresì vero che anche lei era stata presa proprio in quella tornata di acquisti maniacali di qualche tempo fa. Il problema è che ci ha messo una vita e mezzo ad arrivare dalla "lontana" Londra, quasi venti giorni.
Vabbé dai, come sempre, la gioia della novità spazza via il fastidio dell'attesa. E poi è veramente affascinante, dotata di una sua singolare altezzosa plasticità. Si deve piacere un sacco.
D'altronde la piccola Neofinetia Falcata, 富貴欄 (fukiran) o 風欄 (furan) nella sua lingua natia, ha una certa storia da raccontare. Pare infatti che nel Giappone feudale la piccola Neofinetia fosse particolarmente amata da samurai e nobilità militare che per legge erano i soli a poterla coltivare. Parte di questa popolarità era data dalla forma del suo fiore che ricorda vagamente quello dell'elmo dei tipici guerrieri nipponici. Le due versioni nipponiche del nome significano rispettivamente "orchidea prospera e preziosa" e "orchidea del vento".
Con la fine dell'isolamento del Giappone seguita alla caduta dello shogunato, anche le ferree leggi feudali decaddero e così la coltivazione della Fukiran venne "liberalizzata".
Oggi la coltivazione della Neofinetia Falcata è un hobby che ha molti estimatori in Giappone e, come spesso accade, una certa maniacalità propria dei giapponesi l'ha resa una vera e propria disciplina zen estrema, così come accade anche per i bonsai.
La coltivazione e l'apprezzamento della Neofinetia sono quindi cosa serissima, con tutto un vocabolario specifico che comprende termini appositi per la forma e colore non solo delle foglie e dei fiori, ma anche per come questi si attaccano al corpo della pianta, per la proporzione e la forma che assumono le radici aeree, per le sfumature delle foglie, per l'invasamento fatto in appositi preziosi vasi in ceramica o terracotta.
Vi è anche una associazione nazionale degli amanti della Fukiran (http://www.nihonfuukirankai.com/), che organizza mostre, eventi e giudica con inflessibile severità la validità dei nuovi ibridi che di tanto in tanto vengono creati.
La pianta giunta oggi non è molto grande ma dalle foto che vedo in giro, potrebbe forse fiorire la prossima estate. Tra l'altro i fiori di Neofinetia Falcata hanno un caratteristico profumo a quanto pare molto intenso. Una fioritura permetterebbe inoltre di ottenere qualche capsuala per ricominciare con la semina. Non ci resta che aspettare. Nel frattempo è andata a fare compagnia alla conterranea Sedirea Japonica nell'intercapedine tra le doppia finestre. Pare addiritura che la Neofinetia possa ben sopportare temperature vicino e sotto lo zero.

mercoledì 4 novembre 2009

Ripicchiettatura. Esperimenti e considerazioni

Le semine estive crescono, alcune prosperano e stanno sempre più strette, altre stentano, in ogni caso è tempo di ripicchiettature, parte più noiosa nella coltivazione delle orchidee in vitro, me invevitabilmente necessaria.
Questa volta, giusto per movimentare un po' l'insulsa attività, mi sono dato a qualche esperimento e, osservando quanto avviene nelle fiasche, ho fatto alcune riflessioni e considerazioni che qui riporto.

Esperimenti
1. Ho provato a ripiantare sia nel Replete Medium sia sul Germination Medium giunti qualche giorno fa dall'Orchid Bank Seed Project. Sarà interessante comparare l'efficacia di entrambi i prodotti sullo sviluppo delle piantine.
2. Alcuni virgulti sono stati impiantati sul substrato all'interno dei vasetti per le analisi per le urine. Questi, essendo sterili, dovrebbero garantire l'assenza di contaminazioni. In più hanno il vantaggio che essendo in plastica risultano molto più leggeri e maneggevoli. Unico problema potrebbe essere la plastica di cui sono fatti che essendo leggermente satinata rischia di non far passare sufficiente luce.
3. Tre piantine della Phalenopsis 1/2 con buon sviluppo radicale sono state impiantate nel vasetto che avevo preparato alcune settimane fa con corteccia e sfagno. Il substrato, bagnato con una soluzione dimezzata di fertilizzante bilanciato per orchidee, era poi stato passato in autoclave. Nel coperchio avevo anche iserito un con un tappo forato per provette, cercando così di dare la possibilità di scambi gassosi con l'esterno. Il foro è stato ovviamente riempito di garza sterile compressa che è poi passata anch'essa in autoclave con tutto il resto. Facendo il trapianto in cappa sterile tutta l'atmosfera e le piantine dovrebbero, in teoria, essere ancora liberi da contaminazione. Ovviamente solo il tempo potrà rendere o meno ragione della correttezza dell'esperimento che potrebbe fallire per variabili indipendenti dall'idea generale di fondo. Come sempre non mancheremo di postare aggiornamenti.

Considerezioni
1. Il terreno Murashige & Skoog, essendo chiaro, e trasparente permette di valutare eventuali variazioni cui è sottoposto. In particolare in molte colture si sono verificati degli inscurimenti, talvolta piuttosto pronunciati della superficie del medium, a volte per una profondità di alcuni millimetri dalla superfice. Nella maggior parte dei casi ciò è avvenuto per i vasetti in cui maggiore era stata la moria di protocormi da imbrunimento. E fin qui la cosa è comprensibile. I protocormi morendo si decompongono liberando sostanze che vengono così assorbite dal substrato. In altri casi tuttavia l'inscurimento si è avuto anche sul substrato attorno a piantine apparentemente sane. Sembrerebbe quasi che nel loro sviluppo e attività metabolica le piantine rilascino sostanze di scarto che vengono così assorbite dal substrato. La cosa appare normale, tanto più che altri substrati come il Phytamax, contengono carbone attivo polverizzato che ha come scopo proprio l'assorbimento di tali sostanze. Ciò che è strano è che gli inscurimenti si sono verificati solo in alcune colture, non in tutte. In particolare in fiasche di Phalaenopsis 1/4 che pure hanno avuto uno tra i migliori sviluppi, non vi è stato alcun imbrunimento, e anche i protocormi che non si sono sviluppati, pur seccandosi, hanno mantenuto un colore marroncino chiaro. Questo porta a pensare che in realtà la degenerazione dei protocormi e la formazione di sostanze di scarto, possibilmente tossiche, da parte di quelle piante che invece sopravvivono sia dovuto ad alcuni particolari fattori. Uno di questi potrebbe essere la scarsezza di scambi gassosi della pianta, una certa asfissia per così dire. Molti dei vasetti in cui maggiore era stato l'inquinamento erano di piccole dimensioni, e molte delle piante che tutto attorno avevano un alone scuro erano piante che nei ripicchiettaggi precedenti avevo conficcato leggermente nel substrato pensando di dar loro maggiore stabilità. Effettivmente, nella coltivazione delle phalaenopsis adulte si pone sempre molta importanza al fatto che le radici debbano essere ben areate. Non vedo perché il medesimo principio non debba valere anche per le piccole piante in vitro che quindi vanno solo appoggiate su terreno di coltura e non conficcate in esso. E questo ci porta ai successivi esperimenti-considerazioni.
2. In alcuni dei vasetti dove vi era stato inquinamento o eccessiva moria di protocormi, lo spessore del substrato nutritivo era considerevole. Pensando che sarebbe stato un peccato buttarli così com'erano, con tutto la fatica di preparazione e sterilizzazione che mi erano costati, ho pensato di riciclarli. Per far ciò, con le pinzette ho prima rimosso i protocormi e le piantine più sane mettendole da parte, poi, con una spatolina che m'ero portato nella cappa sterile ho eliminato tutti i protocormi morti o moribondi e ho raschiato il substrato eliminando un buon mezzo centimetro. Nel rimuoverlo ho creato delle scanalature longitudinali nel gel "testurizzandolo", per usare una parola di derivazione anglosassone ahimé sempre più in voga tra gourmet modaioli. Comunque, lo scopo di ciò è stato il creare degli alloggiamenti in cui poter sistemare le piantine, cosicché abbiano la possibilità di mantenersi erette con una certa stabilità senza tuttavia conficcarli nel terreno di coltura.
3. In realtà, la moria dei protocormi e lo sviluppo di sostanze dannose da parte di alcune piantine potrebbe essere dovuto ad un eccesso di salinità e concentrazione del substrato nutritivo, fattori cui le orchidee in generale sono abbastanza sensibili. E questo è un problema che già mi ero posto nella preparazione delle fiasche. La sterilizzazione in autoclave (pentola a pressione) causa inevitabilmente evaporazione della parte liquida del substrato, anche perché, per evitare lo scoppio delle fiasche è importante lasciare i tappi leggermente svitati. Questo porta ovviamente a un innalzamento dei livelli di concentrazione del terreno. In realtà, tenendo conto di questo fattore, aggiungo sempre un po' più dell'acqua consigliata per la diluizione del medium, ma l'operazione viene comunque eseguita a occhio senza un calcolo preciso e attendibile.

sabato 31 ottobre 2009

Aggiornamento Keiki

Il keiki della Pahlaenopsis 3 procede a grandi passi, anzi i keiki dovrei dire, in quanto al momento sono 4, 2 per 2 dei 3 steli che ancora porta dalla fioritura dell'anno scorso. Mi chiedo se sia normale una tale esplosione. E' anche vero che la pianta è stata abbondantemente fertilizzata la stagione scorsa. Essendo aumentata la superfice fogliare, anche le foglie dei keiki continuano ad ingrandire, sto spruzzando la pianta ogni due o tre giorni. Non voglio bagnarla troppo per non rischiare marciumi.

venerdì 30 ottobre 2009

Un pacchetto dagli Stati Uniti

Alla fine è arrivato. Dopo settimane di malcelata spasmodica attesa in cui, mattina e sera, scendevo di soppiatto a controllare la cassetta della posta, non volendo ammettere nemmeno a me stesso la tensione dell'attesa, alla fine, questa mattina, nella forma di un bel pacchetto quasi cubico, sono arrivati i terreni di coltura che avevo ordinato ormai ben più di un mese fa all'Orchid Seed Bank Project del dottor Aaron Hicks che, devo dire, si era dimostrato subito disponibile a inviarmene, a sue spese, degli altri nel caso in cui non fossero arrivati.
E' probabile che la piccola confezione sia stata a lungo ferma in dogana, anche se in realtà non mi è arrivata alcuna comunicazione a riguardo. Effettivamente gli scambi postali con gli Stati Uniti sono sempre stati problematici. E come dar loro torto in questo caso. All'interno del pacchetto, in due bustine trasparenti termosigillate, fine polvere nera e fine polvere grigia. Nella migliore delle ipotesi droga, nella peggiore antrace o chissà cos'altro.
In realtà si tratta, ovviamente di substrati nutritivi per la semina di orchidee. Il primo è tipo Phytamax ma appositamente modificato per evitare la morte improvvisa che talvolta colpisce inspiegabilmente una florida cultura. "Browning out" la chiamano sui forum e siti in inglese. Pare possa essere dovuta a carenza di alcuni elementi, sbalzi di temperatura, eccesso di salinità del terreno di coltura. Insomma potrebbe essere causata da qualsiasi cosa. Qui l'ingrediente "segreto" dovrebbe essere banana in polvere.
L'altro è un terreno appositamente studiato per il ripicchiettagio e anch'esso, dall'odore che ha fatto durante la preparazione, contiene sicuramente abbondanti dosi di banana.

mercoledì 21 ottobre 2009

Sedirea Japonica 名護蘭

Ultimo arrivo oggi per corriere espresso (ieri erano arrivati i semi di bletilla striata dall'Inghilterra). E' giunta in uno scatolone pieno pieno di carta di giornale, anch'essa avvolta in carta di giornale, una sedirea japonica, o nago ran (名護蘭), come la chiamano in Giappone, ossia, come dice il nome stesso, nel paese dal quale proviene. Ad essere precisi e stando al nome "Nago", la provenienza è in realtà quasi tropicale, Nago è infatti parte dell'arcipelago di Okinawa (http://www.city.nago.okinawa.jp/), le più meridinali delle isole nipponiche.
La pianta è veramente accattivante alla vista. Sembra in tutto e per tutto una mini phalaenopsis, con le foglie tonde e carnose e le spesse radici aeree che escono dal piccolo vaso a retina riempito di sola corteccia a media pezzatura. Pare aver retto bene il trasporto, forse anche grazie al voluminosissimo imballo.
A leggere in giro sembrerebbe pianta da esigenze piuttosto spartane. L'ho sistemata nell'intercapedine delle doppie finestre dove, stando a quanto dicono le varie guide alla coltivazione, dovrebbe stare benone. Esposizione ovest, temperatura diurna attorno ai 20°, notturna attorno ai 15°/16°. L'unico problema potrebbe essere l'umidità. Nei prossimi giorni valuterò i metodi per bagnarla.
Ad ogni modo, a quanto dicono, per avere la fioritura la piccola sedirea deve attraversare un periodo fresco/freddo con poche annaffiatura. In poche parole deve rendersi conto che è arrivato l'inverno, altrimenti non fiorisce. Vedremo di farglielo capire insomma, sempre che l'età della pianta le permetta la fioritura.

sabato 17 ottobre 2009

Una lettera dalla Thailandia

Altri arrivi oggi. Questa volta dalla Thailandia. E chissà perché continuo a sentirmi sempre più simile a un tossico. Nella bella busta Air Mail, piena di francobolli (da 72 baht con pittoresco elefante), etichette e timbri, avvolta con cura in carta e schiuma antiurto, c'era una bustina di plastica con dentro della polvere giallina...
Eccoli qua, i semi, qualche migliaio, di una Cattleya "Big Dark Ruby", come recita la scritta sul foglietto con immagine allegato alla bustina.
Un po' di semi sono già in ammollo nella solita soluzione di acqua e zucchero. E' che mi sono finite le fiasche con il substrato. Me ne è rimasta solo una che svanirà anch'essa domani.

Ripicchiettatura

E' arrivato il freddo e ieri, spostando la scatola di plastica dal davanzale del doppio vetro dove incominciava a fare troppo freddo, una fiasca di Phalaenopsis 1, precisamente di bacello 4, è caduta facendo un macello delle piantine che vi crescevano all'interno. Era da un po' che meditavo il ripicchiettaggio. Le pantine di questo bacello, seminato il 26 giugno 2009 nel momento giusto, quando era perfettamente maturo ma ancora chiuso, si stavano sviluppando molto. In particolare l'apparato radicale, nelle ultime settimane aveva avuto una vera e propria esplosione. Insomma, lo scombinamento della caduta mi ha dato il pretesto per trapiantare.
Solita cappa sterile, pinze da numismatica, acqua sterile. Questa volta ho anche sperimentato le garze sterili che ho comprato l'altro giorno. Il rivestimento in carta delle garze è abbastanza impermeabile così che una volta spruzzato tutto con la candeggina, aprendo la confezione di garza ho a disposizione del tessuto asciutto per pulire la plastica della cappa, ottenendo così una visione più nitida, e per asciugare pinzette e altro materiale dall'eccesso di candeggina.
Ho quindi eliminato un po' di protocormi morti e sfoltito le piantine, risistemando quelle che si erano ribaltate e cercando di farle stare dritte il più possibile. Il substrato, in attesa che arrivi quello specifico per i trapianti dagli Stati Uniti, è il vecchio Murashige & Skoog.
Già che c'ero ho lasciato da parte un po' di piantine e di protocormi in fase avanzata per sperimentare il nuovo substrato a base di muschio vivo che ho preparato la settimana scorsa.
Metà di questi protocormi li ho prima messi in ammollo in una soluzione di fungicida sistemico Previcur, 0,30 ml per 100 ml di acqua distillata.
Ecco il risultato. Ho poi inumidito con dell'acqua distillata versata da una siringa e coperto con il tappo senza però avvitare.

Protocormo policistico

Nel corso dell'ultimo ripicchiettaggio della fiasca di Palaenopsis 1/4,ho notato anche alcuni protocormi che già si erano fatti notare attraverso il vetro del vaso. Li ho chiamati protocormi policistici. Sono dei protocormi, molti anche piuttosto grossi, ricoperti di puntini verdi che somigliano molto a gemme. Ne ho lasciati alcuni dentro le fiasche e vedremo cosa succederà. E' anche vero che alcune delle piantine, effettivamente hanno due apici vegetativi che partono dal medesimo globulo. Sarà interessante vedere se queste orchidee siamesi saranno in grado di sopravvivere e svilupparsi. Ovviamente non mancheremo di aggiornare gli sviluppi.

venerdì 16 ottobre 2009

Presentazione Phalaenopsis Cornu-Cervi


Eccola qua. Sì, effettivamente non si vede un granché. A guardare bene è quel puntino esattamente al centro dell'immagine. Potrebbe sembrare un granello di polvere sul vostro schermo ma è in realtà un seme di Phalaenopsis Cornu-Cervi seminato da non più di 24 ore. Per presentare le nuove specie piantate a partire da semi non autoprodotti ho deciso di non pubblicare anonime fotografie scaricate da qualche parte. Non pubblicherò quindi foglie o fioriture che non siano quelle delle piante seminate. Ciò, nella migliore delle impotesi potrebbe richiedere almeno un paio di anni, ma si sa, la coltivazione delle orchidee in vitro, ormai è ufficiale, è una pratica zen. E poi, il senso del "progetto" è proprio quello di monitorare le varie fasi di crescita e sviluppo delle orchidee piantate a partire dai semi.

Nuovi Arrivi 2 - La semina

Ed eccoci alla semina dei nuovi arrivati. Finito l'ammollo in acqua e zucchero, siamo passati alla fase di sterilizzazione eseguita con acqua ossigenata. I semi sono stati suddivisi per siringa. Questa volta ho utilizzato siringhe da insulina (mi sento sempre più simile a un tossico) che ho scoperto che, una volta tolto l'ago, hanno un'apertura sufficientemente larga da lasciar passare agevolmente liquido e semi, etichettate così da non confondere le fiasche (anch'esse preventivamente etichettate con ciò che andranno a contenere) e inserite nel porta-provette così da facilitarne la maneggiabilità e la sterilizzazione nella scatola guantata.
La semina è stata piuttosto laboriosa, inevitabilmente data la volontà di tenere le semine separate per varietà, ma dovrebbe essere andata a buon fine.
Il problema è adesso il numero di fiasche che incomincia ad essere importante, tanto che non so più dove metterle (e deve ancora arrivare la seconda partita di Bletilla e quella di Cattleya dalla Thailandia). Per ora ne ho sistemati un po' sul davanzale del salotto, che è esposto a sud e ha una buona illumninazione e temperatura, e un po' in cima a mobili di varie stanze: salotto, cucina, bagno, dove se ne stanno tranquilli tranquilli.

mercoledì 14 ottobre 2009

Fasi di semina e germinazione

Vediamo un po' di fasi di semina e di crescita di una Phalaenopsis in vitro, in questo caso siamo partiti da una capsula aperta, quindi con semi secchi, anche se non completamente, contaminati e quindi da sterilizzare. Nell'immagine sono quella polverina impalpabile a sinistra del bacello ormai secco. La lanugine chiara che si vede credo siano le fibre interne al bacello attaccate alle quali i semi traggono nutrimento e sviluppano. Questa particolare capsula ha avuto una maturazione di circa sei mesi. L'apertura è avvenuta in luglio, mentre ero in vacanza. Temendo che ciò potesse accadere, avevo attaccato alla capsula un pezzo di carta pinzettato in modo che formasse una specie di imbuto entro il quale i semi potessero raccogliersi in caso di apertura. Cosa che effettivamente si è verificata. La semina con capsula non ancora completamente aperta è per certi versi più semplice e da' una minore probabilità di contaminazioni e una più rapida germinazione. La vedremo in un post futuro.
Per la sterilizzazione eseguo un metodo che è la sintesi di tutta una serie di letture a riguardo fatte su internet. Prima di tutto metto i semi in una siringa con acqua distillata e zucchero. Questa procedura ha la doppia funzione di idratare i semi prima dell'impianto sulla gelatina nutritiva e di attivare eventuale spore di muffe e batteri che in stato dormiente spesso si ricoprono di una membrana protettiva che potrebbe risultare inattaccabile dal successivo sterilizzante. I semi restano in ammollo circa 24 ore. Dopodiché, rimosso quanto più liquido possibile, la siringa con i semi all'interno viene riempita di acqua ossigenata. In realtà vi sono vari metodi di disinfezione. Molti utilizzano soluzioni con varia concentrazione di candeggina. Altri si affidano a soluzioni fungicide professionali.
L'acqua ossigenata ha il vantaggio di non puzzare e soprattutto non devo stare attento ai tempi di immersione come con la candeggina, che se lasciata a contatto dei semi troppo a lungo rischia di bruciarli. L'acqua ossigenata invece, con il passare del tempo, liberando ossigeno si trasforma in semplice H2O. Finora le contaminazioni sono state pochissime e le percentuali di germinazione molto buone.
Nell'immagine si vedono i semi di Phalaenopsis all'interno della siringa che fluttuano immersi nella soluzione di acqua ossigenata. Normalmente si produce un certo gradevole perlage dato dal liberarsi dell'ossigeno.
La fase successiva prevede l'utilizzo della cappa sterile. Sterilizzati i barattoli con il substrato, la siringa e tutto ciò che serve alla semina, si provvede all'inoculazione. Quest'ultima avviene sempre per mezzo della siringa alla quale viene però tolto l'ago poiché, per quanto piccoli, i semi non riescono a passarvi attraverso. Viene elimata la residua acqua ossigenata e sostituita con dell'acqua distillata sterile. Io utilizzo quella in fialette monodose che si può acquistare in farmacia (quante volte devono avermi scambiato per tossico). In questo modo è possibile controllare il quantitativo di semi che viene inserito per ciascuna fiasca colturale. In tutte le fasi in cui si scarica e ricarica la siringa con i semi dentro, bisogna stare attenti a non sputarli fuori. I semi della Phalaenopsis hanno il vantaggio di depositarsi sul fondo. Con altre specie, tipo la Bletilla e altri semi di orchidee terrestri, forse per qualche tipo di patina cerosa che li ricopre, essi invece hanno la fastidiosa tendenza a galleggiare in superficie per cui a volte è meglio utilizzare altri metodi che illustreremo in altri post.
Una volta che l'atmosfera dell'ambiente di lavoro è completamente sterile apro i barattoli e in ciascuno verso due o tre gocce di acqua e semi dopo aver ben agitato la siringa. In questo modo si riescono ad avere colture non eccessivamente fitte di protocormi e si riescono a ridurre i ripicchiettaggi che se effettuati quando ancora i protocormi sono molto piccoli rischiano di fare stragi.
A volte tuttavia scappa la mano e mi sono trovato con barattoli sovraffollati di protocormi. In genere comunque il dosaggio funziona.
Ed ecco il risultato: tanti microscopici semini chiari che galleggiano sul velo d'acqua sopra il substrato (in questo caso si tratta di terreno Phytamax). I barattoli vanno quindi collocati in luogo tiepido, possibilmente con temperatura costante tra i 25 e 27 gradi (tollerano anche escursioni sopra i 30 o discese fino a 20/19, e con buona illuminazione ma non direttamente esposti al sole.
A un mese circa dalla semina, se tutto è andato per il verso giusto, l'aspetto delle fiasche è questo:
E qui siamo alla fase attuale, a circa 4 mesi dalla semina, di una delle fiasche cha hanno dato i migliori risultati. Stanno spuntando la seconda foglia e le prime radici.

Nuovi Arrivi

Oggi finalmente è arrivata parte dei semi che ho ordinato in un impeto di follia compulsiva la settimana scorsa. Si tratta di una nuova "dose" di Bletilla Striata, una di Dendrobium Draconis, Dendrobium Linguella (gentilmente regalatami dal mio pusher) e una di Phalaenopsis Cornu-Cervi.
Adesso mi mancano dei semi di Bletilla dall'Inghilterra e dei semi di Cattleya dalla Thailandia, che a dire il vero mi danno un po' di preoccupazione. Se ci dovesse essere un controllo, sarà complesso spiegare ad eventuali Carabinieri o Guardia di Finanza che quelle bustine di polverina marrone in arrivo da Bangkok sono semi di orchidea.
Comunque questo giro ho cercato di fare le cose per bene, e per l'ammollo pre-sterilizzazione in acqua e zucchero ho utilizzato delle provette con tappo in gomma acquistate, assieme a un comodo portaprovette, in un negozio di articoli sanitari che mi ha già fornito parecchio materiale (misuratore di ph, garze sterili, acqua da iniezioni, ecc.). Ormai mi conoscono e ogni volta, con un'espressione che non capisco ancora se sia di ironica canzonatura o viva curiosità, mi chiedono "a cosa serve?".
Dunque, per non fare confusione con le semine, ho etichettato le provette e con una spatola ho immesso un "pizzico" di semi in ciascun contenitore. Ho deciso di conservare un po' di semi per provare i nuovi substrati che ho ordinato, nel solito raptus della settimana scorsa, dal'Orchid Seed Bank Project, e che dovrebbero ormai essere in dirittura d'arrivo. Ho quindi aggiunto un altro "pizzico" di zucchero e poi, con la siringa, ho coperto il tutto con dell'acqua distillata sterile da iniezione. Fatto sciogliere il tutto ho lasciato in ammollo.
Alcune considerazione inutili sui semi. La cosa che stupisce di più sono le dimensioni di quelli di Bletilla. Grossi, comparativamente a quelli delle altre orchidee,ovviamente. Non stupisce quindi che siano così proni a germinare anche su substrati quasi comuni. Stupisce altrettando la minutezza di quelli di Dendrobium. Paiono polvere di farina. Altrettanto minuti si sono rivelati quelli della Phalaenopsis Cornu-Cervi, così sottili e diafani da farmi temere fossero privi di embrione. Dopo un po' di ore in ammollo in realtà si sono leggermente gonfiati, lasciando intravedere il globulo biancastro dell'embrione. Queste considerazioni sono possibili grazie a una potente lente di ingrandimento. Ovviamente.
Tutti i semi tendono a galleggiare, soprattutto quelli di Bletilla, che dopo la disastrosa esperienza dell'altra volta, ho pensato bene di lasciarli stare così. Con il passare delle ore tuttavia, gonfiandosi d'acqua, tendono a cadere sul fondo della provetta.
Dovrei lasciarli così un 24 ore circa e poi domani si parte con la grande campagna di semina.

mercoledì 7 ottobre 2009

Isteria

Adesso che le mani hanno smesso di tremarmi posso scrivere sulla tastiera. Sono state 36 ore di'inferno. Tutto ciò che poteva succedere è successo. Alla fine, di un migliaio di semi dell'appena giunta bletilla striata, ne sono riuscito a seminare 5, forse 8 in tre fiasche. E non è nemmeno detto che siano fertili. Ecco che la rabbia ricomincia a farmi tremare le mani. No, devo stare calmo.
Insomma, sti c...o di semi di bletilla non ne vogliono sapere di stare in ammollo. Continuano a galleggiarsene belli belli sulla superficie dell'acqua zuccherata. Anche dentro la siringa si ammassano. Peggio. Nella siringa in plastica si attaccano alla parete come se fossero incollati. Lo stantuffo li ammassa ancora di più. Così non ci sarà verso di farli uscire. Idea. Ci metto una goccia di detersivo per piatti. Spezza la tensione superficiale e magari mi rimuove anche il rivestimento ceroso (presunto) dei semi. Mentre cerco di aprire la siringa con dentro i semi, lo stantuffo si blocca, forzo, forzo troppo e la siringa si apre in modo inconsulto versando il suo contenuto, acqua zuccherata e semi di bletilla su tutto il tavolo. Orrore. Che faccio. Li rimetto nella siringa. Aspiro pian piano l'acqua mista semi dal tavolo con la siringa e li verso in un bicchiere. I semi iniziano a diminuire. Ne saranno andati persi a centinaia per la cucina. Fortuna che non sono radioattivi. Cerco di rimetterli nella siringa. Ma intanto la goccia di detersivo incomincia a fare schiuma. Tanta schiuma. E mi domando come sia possible che una piccola, piccolissima goccia di detersivo per i piatti faccia così tanta schiuma. Travaso il tutto aggiungendo acqua distillata per diluire il detersivo. Travaso, travaso. Alla fine dopo mezz'ora di travasi ho tre bicchieri pieni di schiuma, semi, acqua sempre meno zuccherata. Sempre meno semi restano nel bicchiere in cui li vado radunando. Alla fine ritengo che non ci sia più detersivo. Sul fondo della tazza saranno rimasti una trentina di semi. Via, non è poi malaccio. Così radi nella fiasca non ci sarà bisogno di ripicchiettaggio. Vuoto i bicchieri con l'acqua saponata. Faccio per prendere la tazza con dentro i semi ma dentro non è rimasto nemmeno un seme. Ma manco uno. Magia? Non lo so, ancora non me ne capacito. E anzi è meglio se smetto di pensare a come possano essersi smaterializzati perché la cosa un po' mi intimorisce un po' mi fa tremare le mani di rabbia. Sono senza semi. Che fare. Guardo sul tavolo e vedo che ci sono delle gocce avanzate dal primo incidente in cui sono rimasti un po' di semi. Con la siringa cerco di aspirarne. Mi sento come i tossici che leccano le rane velenose. Riesco a recuperane qualcuno.
Li rimetto in acqua e zucchero, ma adesso uso la siringa in vetro. Un residuato bellico che però fa il suo dovere perché i semi non si attaccano alle pareti. Oramai è mezzanotte, tempo di andare a letto. Appoggio il bicchiere con dentro dei semi che non ho voglia di aspirare con il solito lavoro certosino e sopra appoggio la siringa, orizzontale perché i semi non ne vogliono sapere di stare immersi e così almeno sono completamente a contatto con l'acqua. Mi assicuro che la siringa sia stabile. La guardo. E' perfettamente ferma. Mi giro per andarmi a lavare i denti e immediatamente un rumore secco e sinistro mi annuncia che la siringa è caduta a terra andando in frantumi con tutto il suo contenuto. La stessa forza che ha fatto sparire i semi ha spinto la siringa giù dal bicchiere, ok va bene, io sono anche mona che l'ho appoggiata sul bicchiere. Ad ogni modo, ora mi trovo con il pavimento pieno di vetri accuminati, acqua zuccherata e semi di bletilla striata. Cerco di contenere la crisi isterica che mi sta assalendo e mi metto a raccogliere i vetri. Mi taglio anche un dito. Con un panno asciugo il pavimento che sento diventare appiccicoso. Per un attimo penso di sciacquare il panno usato e recuperare qualche altro seme. Poi desisto. Guardo nel bicchiere. Qua e là dei puntini ondeggianti mi rassicurano sul fatto che qualche seme è rimasto.
Decido di andare a dormire anche se so che non sarà facile addormentarsi. Il nervoso mi scuote.
Dormo male, un sonno agitato da sogni strani. Vedo la mia ragazza completamente ricoperta di tatuaggi dai colori sgargianti come un capo yakuza. Di fronte al mio stupore, mi guarda con sufficienza chiedendomi "che c'è".
Mi sveglio con la bocca impastata e il torcicollo che sono le 6.30 di mattina. Ho un solo pensiero in testa. Bevo un caffé in fretta e preparo la cappa sterile. Non posso usare la siringa in plastica e la siringa in vetri è andata in frantumi, così riciclo una pipetta in vetro di un flacone di soluzione di iodio. Beccare quei pochi semi rimasti da dentro la cappa sterile è un'impresa, per lo più vado a intuito sperando che qualcosa dentro le fiasche effettivamente ci finisca.
Metto le fiasche nella piccola serra ma non sono soddisfatto.
Passo il resto della giornata scosso dall'inquietudine.
Devo fare qualcosa.
Devo riprendere i semi di bletilla ma il nervoso è tanto e così oltre che dal mio dealer ne acquisto di un'altra varietà da un negozio on line inglese. Poi, compulsivo, ordino in Thailandia dei semi di Cattleya. Ma non basta, e preso dal raptus mi getto su un lotto di semi di dendrobium draconis e uno di phalenopsis cornu - cervi.
Adesso va un po' meglio. Speriamo arrivino presto.

martedì 6 ottobre 2009

Bletilla Striata


E' arrivata oggi. L'avevo ordinata la settimana scorsa e il mio "dealer" è sempre molto rapido ed efficiente.
Nella busta c'è una piccola capsula in plastica. Dentro la solita polverina grigia. No, ovviamente non è eroina. Sono semi di Bletilla Striata. Ne ho acquistati 300 ma secondo me ce ne saranno un migliaio dentro.
La Bletilla è un'orchidea terrestre originaria dell'Asia Orientale, Taiwan, Cina e Giappone. Ha foglie slanciate e affusolate e piccoli fiori, molto regolari, di colore viola o bianchi. Si sviluppa in cespi folti producendo dei tuberi globulari. E' abbastanza resistente al freddo, e se l'inverno non è troppo rigido, pare che possa essere lasciata all'aperto. Da qualche parte ho letto che in alcune zone dell'appennino delle varietà di bletilla si sono inselvatichite.
I semi che ho preso, vi è scritto sulla bustina dentro cui è posta la capsula, sono di Bletilla color viola.
A prima vista i semi paiono più grossi (se qualche frazione di millimetro si può considerare "grosso") e pesanti di quelli di Phalaenopsis. Forse è per questo che sono considerati di piuttosto facile germinazione e rapida crescita, avendo un minimo di riserva di nutrimento in più rispetto a quelli delle epifite.
Intanto, essendo i semi secchi, li ho messi nella solita soluzione di acqua demineralizzata e zucchero per farli riavere e un po' e attivare eventuali spore dormienti di muffe che verranno poi eliminate nella successiva sterilizzazione.
Altra cosa che salta subito all'occhio come differenza rispetto ai semi di Phalaenopsis è il fatto che i semi galleggino sull'acqua. Cosa che avevo già notato con i semi di alcune orchidee terrestri nostrane che avevo provato a seminare, con un discreto insuccesso, tempo addietro. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che i semi sono particolarmente secchi, o a qualche tipo di strato protettivo ceroso. A questo proposito sto valutando l'impotesi di aggiungere una goccia di detersivo all'acqua per rompere eventuali tensioni superficiali che possano proteggere batteri e muffe.

lunedì 5 ottobre 2009

Prime radici

Nuova fase di sviluppo. Nelle prime fiasche dell'ahime defunta Phalaenopsis 1 sono spuntate le prime radichette. Tutte più o meno contemporaneamente allo spuntare della seconda foglia. Nella prima fotografia della capsula 1/3, una di quelle che, seminata su substrato Phytamax, ha dato tra i migliori risultati, è quel piccolo globo a sinistra. E' ricoperto di una fitta peluria come quella spuntata nella fase più avanzata dei vari protocormi.

In questa piantina di capsula 1/4 seminata su terreno Murashige & Skoog, la crescita della radice è quasi abnorme. E' quella specie di bananone (di alcuni millimetri in realtà) che sta superando, per lunghezza e diametro le foglioline della pianta da cui si propaga.
A questo punto incomincia a farsi strada il dubbio su quando sarà il momento opportuno di effettuare il trapianto esterno. Un dilemma che non mancherà di appassionarci nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.

mercoledì 30 settembre 2009

Cappa Sterile

Per la semina in vistro delle orchidee un'altra cosa fondamentale è la cappa sterile. Il substrato nutritivo su cui i microscopici semi delle piante vengono impiantati sono molto ambiti da funghi e muffe, le cui spore sono praticamente ovunque nell'aria. E' quindi fondamentale che dopo la sterilizzazione in autoclave (pentola a pressione) le fiasche contenenti la gelatina restino sterili anche durante l'apertura e l'inoculazione dei semi, che devono essere a loro volta sterili. Per fare tutto ciò è basilare lavorare in ambiente asettico. Ci sono naturalemente vari metodi. I professionisti usano filtri laminari. Lavorano cioé avvolti da un flusso d'aria che viene passata per dei filtri così fitti che trattengono qualsiasi particella sopra un certo numero di micron, compresi spore e batteri. Inutile dire che l'impianto è piuttosto complesso e costoso.
Altri provano a lavorare su un flusso di vapore, ossia sopra una pentola con acqua che bolle, ma la cosa mi è sempre sembrata piuttosto complessa.
Ho quindi optato per una cappa sterile fatta in casa.
Mi sono rivolto al solito brico center e ho acquistato una scatola in plastica trasparente di una certa capienza, un paio di mezzi tubi da idraulico, dei guanti in gomma spessa, silicone e un foglio in plexiglass. Ho quindi aperto dei fori circolari in cui ho fatto passare i tubi su cui ho poi infilato i guanti e infine ho sigillato il tutto con il plexiglass, sagomato per incorniciare i tubi così da chiudere fessure, fissato con il silicone. La spesa è stata di una ventina di euro. Il risultato quello che si vede nella foto. Quando ho fatto vedere tutto orgoglioso la mia opera a una mia amica, lei, piuttosto preoccupata, mi ha chiesto se il mio nuovo hobby era realizzare pupazzi di uranio...
"No, in realtà è coltivare orchidee partendo dal seme" le ho risposto io. E lei mi ha chiesto "perché?" Ma tant'è.

Insomma, lo scopo di tutta quest cosa è quella di tenere l'ambiente interno, opportunamente sterilizzato, completamente separato dall'ambiente esterno. Per sterilizzarlo io normalmente passo tutte le superfici interne con alcol o altro disinfettante. Ogni volta mi sembra di essere un infermiere che prepara la sala operatoria. Una volta posti all'interno i vasetti e tutto ciò che mi servirà alla semina, chiudo il coperchio e sigillatolo con del nastro adesivo, spruzzo abbondante candeggina in ogni anfratto e angolo della scatola e su ogni cosa contenuta al suo interno. Soprattutto sotto il coperchio delle fiasche, soprattutto se è passato un po' di tempo da quando le ho sterilizzate. E' importante fare un esauriente inventario di tutto ciò che ci servirà "là dentro", che se ci si scorda qualcosa bisogna riaprire il coperchio e ricominciare tutta la sterilizzazione daccapo. Nell'immagine fatta poco prima di chiudere, si notano le fiasche ovviamente, il bisturi, la siringa a mollo nella candeggina con la capsula verde, l'acqua sterile, e a destra lo spruzzino con la candeggina. Lascio tutto fermo per qualche minuto per dare il tempo alla candeggia di fare strage di germi e spore, e poi inizio l'operazione.
Devo dire che finora la cappa sterile e il metodo di sterilizzazione hanno fatto piuttosto bene il proprio dovere. Di contaminazioni post semina e post ripicchiettaggio ne avrò avute sì e no un paio su una cinquantina di fiasche.

domenica 13 settembre 2009

Collezione di muffe

Pensavo peggio a dire il vero. In realtà fin'ora le contaminazioni si sono verificate solo in una minima percentuale delle fiasche colturali. Alla fine, sia la cappa sterile che la sterilizzazione dei semi con acqua ossigenata si sono rivelate particolarmente efficaci.
Su circa 35 fiasche totali, le contaminazioni si sono presentate su 5-6.
Si è trattato per lo più della solita, classica, muffa verde che in men che non si dica ha ricoperto tutta la superficie della fiasca consumando poco a poco tutto il substrato nutritivo. In un paio di casi invece, quelli riportati nelle immagini, si è avuta una strana contaminazione globulare di un bel colore rosa. In realtà in una di queste fiasche contaminate c'era anche un po' di muffa verde, la si può intravedere a destra nella foto in alto, che in breve ha preso il sopravvento battendo clamorosamente il mite blob rosa. La battaglia è stata piuttosto appassionante.

In un altro caso la muffa si è invece sviluppata in una fiasca con i semi già in fase di germinazione, il che è piuttosto strano perché dalla semina erano passate non meno di due settimane ed essendo la fiasca sigillata, non si capisce in quale passaggio sia avvenuta la contaminazione.

sabato 12 settembre 2009

Presentazione Phalaenopsis 3

L'ultima delle orchidee ad essere acquistate a una svendita del supermercato.
La pianta si presenta in generale molto vigorosa. Le foglie sono lanceolate, molto grosse e carnose, sezionate all'apice e tutte protese simmetricamente verso l'alto con una struttura un po' a ventaglio.
Non produce praticamente alcuna radice aerea.
La fioritura è stata abbondante, su tre steli ramificati.
L'impollinazione tuttavia è risultata piuttosto difficoltosa e dei vari tentativi soltanto uno ha prodotto una capsula di dimensioni relativamente piccole.
Molte impollinazioni erano sembrate inizialmente andate a buon fine, con il tipico ingrossamento della colonna e l'inverdimento del picciolo che tuttavia si è poi improvvisamente staccato.
Alla fine la phalaenopsis 3 è stata l'ultima ad essere impollinata, maturando a fine agosto.
Anche in questo caso purtroppo non ricordo di quale altra phalaenopsis sia stato il polline utilizzato.

Substrati Nutritivi


Ovviamente, nella coltivazione in vitro delle orchidee, il substrato nutritivo è fondamentale.
Inizialmente avevo sperimentato preparati fatti in casa. Su internet si trovano alcune ricette interessanti. Queste sono due di quelle che ho sperimentato:

http://www.i-h-g.it/archivio/o/orchidee_riproduzione.htm
http://www.orchidando.net/pages/seminare.htm

A parte il nitrato di calcio della seconda ricetta che non ho nemmeno cercato (è piuttosto tossico e pericoloso a quanto pare), il resto è tutto facilmente reperibile. L'agar l'ho trovato in abbondanza e in vari formati in un negozio di prodotti bio, è particolarmente apprezzato dai vegetariani per la preparazione di creme e budini in quanto completamente vegetale rispetto alla colla di pesce che invece si ricava da cartilagini suine. L'agar è invece prodotto da un'alga oceanica e ha inoltre il vantaggio di resistere alle alte temperature richieste per la sterilizzazione delle fiasche colturali. L'acqua utilizzata è stata quella demineralizzata che si trova al supermercato. Per la misurazione del ph ho acquistato in farmacia per pochi euro le apposite cartine tornasole.
Ad ogni modo il risultato finale è stato quello della foto, scattata a uno dei numerosi vasetti che sono usciti da una soluzione di un litro.
I risultati sono stati tuttavia deludenti, in buona parte a causa della mia inesperienza suppongo. Nel primo caso l'errore è stato piuttosto grossolano. Ho infatti utilizzato un concime liquido per orchidee di quelli predosati a rilascio graduale. Non considerando tuttavia che un concime di questo tipo è già molto diluito e quindi, con le dosi consigliate da entrambe le ricette la concentrazione di fertilizzante sarebbe stata troppo blanda. Il primo tentativo fatto con una capsula verde di phalaenopsis 1 infatti non ha portato ad alcun risultato apprezzabile.
Nel secondo caso ho utilizzato invece un comune fertilizzante per geranei, stando attento che contenesse poco o nullo azoto ureico, così come consigliano un po' tutti i sacri testi. La diluizione è stata effettuata per un litro d'acqua, riducendo leggermente, e a occhio, la dose. Ho anche aggiunto un paio di cucchiaiate di omogeneizzato di banana. Anche in questo caso tuttavia i risultati, per quanto non nulli, sono stati deludenti. Suppongo che anche in questo caso la fertilizzazione non sia stata appropriata. I semi infatti hanno incominciato a ingrossare, e con una certa rapidità, avviandosi allegramente allo stadio di protocormo con una dimensione di 1 mm circa. Il problema però è che non è mai partita la fotosintesi clorofilliana, e le giovani pseudo-piantine si sono mantenute sempre di un colore neutro e pallidino fin quando non hanno incominciato a scurire e infine sono avvizzite. Immagino quindi che il problema sia stato dovuto a una generale povertà nutritiva del substrato o alla carenza di un qualche particolare elemento.
Sicuramente riproverò in futuro con il substrato nutritivo fatto in casa, me intanto sono passato a prodotti professionali che hanno garantito risultati decisamente più apprezzabili.
I prodotti che ho utilizzato sono il Phytamax e il Murashige & Scoog, entrambi ampliamente diffusi e utilizzati per la coltivazione in vitro.
Entrambi si possono tovare qui:

http://www.microcarnirare.com/website/index.php?option=com_virtuemart&page=shop.browse&category_id=7&Itemid=71

Il rivenditore è super efficiente e affidabile. La spedizione avviene in pochissimi giorni.
Apparentemente i due substrati sono molto simili. Il Phytamax è sembrato essere più veloce all'inizio mentre il Murashige & Scoog parrebbe aver dato maggior crescita da un certo grado di sviluppo in poi, anche se in realtà la velocità di germinazione potrebbe esser stata dovuta ad altre variabili: genetica dei semi, condizioni climatiche, esposizione, ecc.

venerdì 11 settembre 2009

Presentazione Phalaenopsis 2


Eccola qua, in realtà sarebbe la 1, nel senso che è la phalaenopsis più vecchia, quella che avevo da più tempo e che a un certo punto, da un vecchio stelo ha deciso di rifiorire. Di fiori ne ha fatti solo tre, ma tutti di grandi dimensioni, tanto da farmi pensare che possa essere diploide.
Le è stata data la numerazione 2 perché è stata la seconda ad essere fecondata. Purtroppo non ricordo quale polline io abbia utilizzato. Il risultato tuttavia, a riprova del fatto che sia una varietà particolarmente vigorosa, è stato una capsula di dimensioni abnormi,circa 10 centimetri, così gonfia da quasi non avere le caratteristiche scanalature.
Le foglie sono a lingua, mediamente pendule, leggermente sezionate all'apice. La pianta ha una certa tendenza a emettere radici aeree.

Keiki


Pensavo fosse una gemma fiorifera. E invece stamane si è svelato per quello che è in realtà, un keiki, cioé una nuova piantina che si sviluppa da uno stelo. Keiki pare che significhi "figlio" in lingua hawaiana.
Spulciando in rete ho trovato varie teorie a riguardo. Secondo alcuni lo spuntare di un keiki non è un buon segno, indica che la pianta sta reagendo a una condizione sfavorevole cercando di riprodursi in modo alternativo alla fioritura. Altri documenti affermano invece che il keiki non centra niente con lo stato di salute della pianta. Effettivamente sullo stesso stelo dov'è spuntato, vi sono altre gemme che si stanno ingrossando e che a prima vista sembrerebbero proprio voler dar vita a nuovi steli fioriferi. La pianta sta anche emettendo un'altra foglia. Insomma, scoppia di energia e vigore.
Il keiki sarà in tutto e per tutto un clone della pianta che l'ha generato. Non che ne avessi bisogno, phalaenopsis 3 non è nemmeno tra le mie preferite. Se tutto procede per il verso giusto, nel giro di un anno avrò letteralmente piante da buttare . Ad ogni modo è un evento particolare che seguirò con interesse nel suo sviluppo.

Illuminazione artificiale

Non poso farmi venire l'ansia ogni volta che esco col dubbio di non aver tirato le tendine e che le piantine si arrostiscano al sole diretto.
In più le giornate si vanno accorciando e il cielo rannuvolando e incominciano a preoccuparmi che la luce che ricevono non sia sufficiente.
Così oggi ho fatto il solito giro in un paio di brico center e sono tornato a casa con il seguente materiale:

  • Scatola in plastica tipo quella che ho usato per costruire la cappa sterile.
  • Confezione di tre lampadine fluorescenti a risparmio energetico di fabbricazione cinese. 75 W equivalenti, circa 1000 lumen, luce bianca fredda.
  • Due plafoniere da garage
  • Doppino elettrico
  • Un timer

Il risultato di un pomeriggio di frenetico di lavoro è stato questo:

Intanto gli ho messo dentro un po' di vasetti di varie semine e vari stadi di crescita e vediamo un po' cosa succede. Il timer fa accendere il tutto intorno alle 6 di mattina. Sto cercando di fargli fare una pausa attorno alle 4-5 di pomeriggio quando il sole batte più direttamente nella stanza, un po' di luce naturale non può che far bene, e poi continua a stare acceso fino alle 6-7, per un totale di 12/13 ore.

La scatola di plastica dovrebbe anche avere il vantaggio di mantenere la temperatura un po' più costante dato che ultimamente ha preso a fare piuttosto fresco la sera e l'intercapedine tra i due vetri potrebbe essere un po' troppo fredda per quanto io lasci aperta la finestra interna. Gli sbalzi di temperatura non credo facciano molto bene ai giovani virgulti. Ho cercato di monitorare la temperatura a lampadine accese e spente con il termometro di casa, ma in uno spostamento un po' brusco si è rotto. Fortuna che non era a mercurio.
Per ora sembra andare bene. L'unica cosa che mi preoccupa un po' è la puzza micidiale che fanno le lampadine. Sembra un misto tra das (sì, la creta artificiale) e plastica bruciata il che è strano perché le temperature che raggiungono sono irrisorie. Penso che sia dovuto alla scarsa qualità costruttiva. Fortunatamente sono nella scatola sigillata, ma mi chiedo cosa succede quando uno le usa normalmente in casa. La puzza che fanno non da' l'idea di essere molto salubre.