sabato 4 agosto 2012

Ecosistemi e meccanismi simbiotici


Ancora qualche riflessione a seguito di una rinfrescante gita sulle montagne dell'Alto Adige e dopo una passeggiata nei boschi di confiere che ne ricoprono i declivi.
E' un ambiente sempre affascinante, soprattutto dopo un periodo di piogge regolari alternate a lunghe schiarite che favoriscono il rigoglioso sviluppo della vegetazione.
Sono tante e così interrelate fra loro le diverse forme di vita, che paiono quasi singoli organi di un unico essere vivente.
Le foglie, i rami, i tronchi degli alberi caduti, vanno a formare uno spesso e soffice strato che, attaccato da batteri, muffe, funghi, si decompone rilasciando elementi nutritivi su cui si sviluppano le felci, i muschi, i licheni, gli arbusti che compongono il sottobosco e gli stessi alberi che compongono la foresta.


Dopo le abbondanti piogge i funghi spuntano appunto come funghi. Tra di essi anche qualche raro porcino. Leggendo qua e là scopro che molti funghi, così come i tartufi, instaurano un rapporto simbiontico con gli alberi della foresta di tipo micorrizico, proprio come accade per le orchidee.
Quello che comunemente chiamiamo fungo, è in realtà solo il frutto di un organismo che si sviluppa nel terreno come reticolo di sottilissimi filamenti: il micelio. Il micelio non è in grado di provvedere da solo al proprio sostentamento, non possedendo clorofilla e non potendo quindi effettuare fotosintesi. Per vivere si deve appoggiare a una pianta che invece grazie alle foglie verdi è in grado di sintetizzare i composti nutritivi che le servono. Il fungo colonizza le radici della pianta, assorbendo da essa una parte delle sostanza nutritive che gli servono per completare il proprio ciclo vitale. In cambio però il fungo fornisce alla pianta alcune sostanze minerali, ne migliora l'assorbimento idrico e la protegge dall'attacco di parassiti e agenti patogeni. Le piante micorrizate sono normalmente più forti e hanno un miglior sviluppo rispetto a quelle che vivono senza questo complesso rapporto.
Pare che anche alcune orchidee nate in natura mantengano anche dopo la fase di germinazione il rapporto con il fungo simbionte, risultando più sane e forti.
Questo blog non ha ovviamente alcun valore scientifico in quando nasce dal più puro hobbismo, ma alcune riflessioni sorgono spontanee. Ho letto da qualche parte che le orchidee sono una specie botanica evolutivamente recente. Può venire da pensare che il sistema simbiotico di germinazione delle orchidee derivi evolutivamente dal sistema vegetativo micorrizico che dalle radici si è poi esteso al seme.


Ad ogni modo, passeggiando per il bosco mi è venuto in mente un esperimento. Lungi da me l'idea di prelevare un esemplare selvatico, cosa che per altro è proibita per legge, ho però prelevato dal luogo dove cresceva un folto cespuglio di dactylorhize alcuni campioni di terriccio comprendenti una pigna mezza marcia, alcuni legnetti altrettanto disfatti e delle foglie ormai quasi completamente trasformate in humus.
Tornato nell'afosa pianura ho quindi mescolato i campioni di terreno del bosco con un mix di terriccio, cartone e foglie secche e sto provvedendo a mantenere il tutto abbastanza umido. L'idea di fondo è che i funghi simbionti della dactilorhyza presenti nel luogo dove così tanti semi di questa orchidea selvatica erano germinati, siano presenti nei campioni di terriccio di bosco prelevati e che, mischiati al materiale organico del vaso casalingo, possano riprodursi e colonizzare il substrato permettendo poi la germinazione di qualche altra orchidea terricola come bletilla, ecc.

venerdì 3 agosto 2012

Una gita in montagna

Finalmente, dopo un anno di duro lavoro, un po' di vacanza, soprattutto dall'aria pesante e dal caldo opprimente della pianura.
Lago di Braies, tra le dolomiti, uno dei più incantevoli paesaggi alpini. Lo sguardo si allunga fino alle cime delle montagne, alle foreste di conifere che ricoprono sontuose i declivi.
Poi però, dopo tanto guardare lontano, non si può fare a meno di scorrere l'occhio anche nel sempre interessante umido e muscoso sottobosco.


Eccola qua, non ci vuole molto a trovarla. Anche se siamo già a fine luglio, oltre ad alcune piante con soli frutti, ce n'è anche qualcuna in piena fioritura. Una meravigliosa epipactis che se ne sta solitaria nella pietraia che digrada al lago.
Nei prossimi giorni aggiorneremo qualche altro incontro nel bosco, oltre a un esperimento che inizia proprio adesso.

martedì 17 luglio 2012

Bletilla e bulbilli

 Ecco un nuovo breve aggiornamento sulla bletilla striata dell'orto botanico sfiascata qualche settimana fa.
Direi che va molto bene. Le plantule sono state sistemate in zona ombreggiata con esposizione nord-ovest. Prendono un po' di sole diretto solo la mattina ma comunque è abbastanza ombreggiata. Il terreno viene mantenuto abbastanza umido anche se è ben drenante. Il cartone dell'esperimento sembra fare il proprio dovere.

Si stanno formando anche i primi piccoli bulbi, il che dovrebbe garantire il superamento dell'inverno.

Porca p.....a!!!!!!!!

Non c'è niente da fare, non riesco ad avere successo con gli incroci intraspecie. Eppure questo, tra neofinetia e sedirea, sulla carta doveva avere delle chance di successo e la formazione della capsula aveva dato delle speranze, ahime, illusorie.
La crescita si è rapidamente arrestata e, come esperienza insegna, ciò che non evolve, muore.
I fattori in gioco per un insuccesso sono molti: il polline della sedirea era stato congelato e magari non era più fertile. O forse c'è una vera e propria incompatibilità genetica. Io di genetica, come di tutto il resto per altro, non ne capisco molto, e adotto il solito metodo puramente empirico, provo e riprovo insomma, ma qui di incroci finora non me ne è andato bene manco uno.
Adesso ho riprovato con neofinetia-sedirea, sia con questa neofinetia base che con la Tamakongo che era in fiore. Ma su quest'ultima secondo me nemmeno si forma la capsula iniziale (meglio così, almeno non da' illusioni).
Vediamo almeno se quello tra neoifnetia base e Tamakongo procede. Per ora si è formata la capsula. Vediamo se dura.

mercoledì 4 luglio 2012

Coltivazione orchidee e cartone

E come al solito, dopo un certo periodo di sperimentazione, ecco che giunge il momento di parlare di qualche nuovo ritrovato per la germinazione e la coltivazione delle orchidee. Ne avevo accennato anche tempo addietro a proposito dello sfiascamento delle bletille striate, e adesso iniziamo a descriverne un po' in dettaglio la tecnica.
E' stata sviluppata in Giappone negli anni '80, e nata un po' per caso, è ormai una consolidata pratica non solo di riproduzione, ma anche di coltivazione per molte orchidee selvatiche, epifite, ma soprattutto terricole.
Protagonista è il cartone, semplice cartone da scatole e da imballaggio, non colorato, spesso, possibilmente di quello a più strati e ondulato. Gli utilizzi sono molteplici. Ci si foderano i vasi, lo si sminuzza aggiungendolo al medium di coltura, lo si usa puro o assieme a medium neutri come perlite o sabbia. Con certe specie di orchidee terricole è un fenomenale medium di germinazione che permette di liberarsi di barattoli, pentole a pressione, cappe sterili, ecc. Qui c'è una descrizione molto accurata del metodo:

http://nao-k.jp/utyouran/danbo-ru_1.htm

Prometto di pubblicarne una traduzione appena ho un momento di tempo assieme a quelle di un fenomenale manuale di coltivazione e alcune riviste che mi sono giunte di recente dal Giappone in cui alla tecnica è dedicato più di un capitolo.

Non ho ancora provato con la germinazione, ma ho seguito alcune indicazioni per lo sfiascamento di bletille.
Ho foderato con cartone da imballo un vaso di plastica, mescolando al terreno di coltura (1/4 letame maturo, 1/4 sabbia, 1/4 corteccia fine, 1/4 torba di sfagno) più di una manciata di cartone sminuzzato. Il substrato è stato tenuto umido ma non fradicio, è ben drenante, e in qualche giorno la superficie si è ricoperta di un velo come di muffa leggera. Devo ammettere che ho temuto di perdere l'intera fiasca, ma in realtà le piccole bletille non hanno mostrato segni di sofferenza anzi sembrano cavarsela niente male.
E poi, con il caldo degli ultimi giorni, sono spuntati degli ospiti. Alcuni piccoli funghetti grigi, venuti su appunto come funghi e seccatisi fin quasi a scomparire altrettanto rapidamente. Nell'immagine si notano in mezzo alle plantule di bletilla.


I meccanismi per cui il cartone ha effetti positivi sulla germinazione e sulla fisiologia di alcune orchidee non sono ancora stati investigati scientificamente, ma alcune ipotesi verosimili si possono fare. Il cartone è essenzialmente costituito da cellulosa, e ormai nella maggior parte dei materiali i collanti sono costituiti da amidi vegetali. E' quindi un materiale che crea un ambiente simile a quello di un sottobosco, in cui possono proliferare muffe, batteri e funghi che normalmente si sviluppano nel tappeto di foglie cadute, nutrendosi della cellulosa di cui queste sono costituite. Anzi, essendo il cartone fatto di pura cellulosa, il proliferare di questi microrganismi è probabilmente ancora più rapido in quanto mancano tannini e altri materiali che possono rallentare il processo. Da un lato quindi il rapido proliferare di batteri e funghi saprofiti scompone la cellulosa di cui è fatto il cartone in materiale organico, liberando glucosio, che può essere assorbito come nutrimento dalle nostre orchidee. Dall'altro, permette lo svilupparsi di particolari funghi simbionti per alcune orchidee terrestri. Pare che funzioni molto bene con la bletilla striata e con la ponerorchis.
La sperimentazione continua.

Sediretia

Gli incroci tra specie sono più complicati di quello che pensassi. Tra phalaenopsis e le vandacee giapponesi, sedirea e neofinetia, non ha mai funzionato. Eppure in teoria dovrebbe essere possibile.
Questa volta però, per conservarmi qualche chance per il futuro ho deciso di conservare un po' di poillini. Durante l'ultima fioritura della sedirea japonica ho messo un po' di sacche polliniche in una provetta che ho poi conservato nel freezer di casa.
Adesso che la fioritura della vecchia neofinetia è al culmine, e quest'anno con 5 steli floreali è stata davvero abbondante, ho scongelato un po' del materiale genetico conservato e ho fatto alcuni esperimenti. Non tutti andati in porto in realtà, o perché il freezer casalingo non è certo l'azoto liquido dei centri sperimentali, o per un non corretto posizionamento delle sacche polliniche, o per un'effettiva incompatibilità genetica.
Comunque alla fine qualcosa è successo, come si vede chiaramento nell'immagine sopra. Lo stelo è diventato verde e leggermente più ingrossato rispetto agli altri.
Adesso bisognerà vedere se la capsula procederà regolarmente nella maturazione e se i semi saranno poi fertili, e aspettare qualche anno per vedere cosa ne verrà fuori. Le piante, pur nella struttura comune alle vandacee, sono piuttosto differenti tra di loro, e i fiori hanno entrambi un piacevolissimo e intenso profumo.
A breve sbocceranno anche i fiori di alcune altre varietà di neofinetie giuntemi tempo addietro dal Giappone, e anche lì sarà bello sperimentare.

domenica 17 giugno 2012

Cypripedium e compagne

Lo ammetto, un po' ho barato. L'altro giorno, parlando con un'amica guida naturalistica le ho chiesto dov'è che potessi trovare nella nostra zona il cypripedium calceolus, l'orchidea selvatica nostrana dalle forme più esotiche ma ahimè sempre più rara. E' da qualche anno che la cerco durante le mie escursioni ma finora non avevo mai avuto successo.
Non mi aspettavo mi rispondesse con tanta sicurezza e, carta e penna alla mano, in quattro e quattr'otto mi ha disegnato una cartina degna di una caccia al tesoro con uno dei siti più importanti dove questa specie è presente in abbondanza.
Così mi sono avventurato nel parco della Lessinia e percorrendo alcuni sentieri CAI ben segnati, attraverso boschi e prati montani sono arrivato, non senza una certa titubanza, a uno dei due siti che mi era stato indicato.
 

Devo ammettere che ho provato una certa emozione, anche perché il cypripedium calceolus, anche detto scarpetta o pantofola di Venere, vive in grandi e fitte colonie e il colpo d'occhio è davvero notevole. Su un'area di un paio di centinaia di metri quadri, la radura, attraversata dalla strada, è letteralmente ricoperta dalle foglie verde pallido da cui, come tante palline da tennis, spuntano i fiori con il grosso labello giallo e rigonfio. Se si lascia la strada per avvicinarsi a fare qualche foto, bisogna stare davvero molto attenti a non calpestarle.
Il cypripedium è una specie davvero singolare. Ha un sistema di impollinazione molto sofisticato. Il fiore è privo di nettare anche se emana un quasi impercettbile aroma. Una volta che un insetto cade nel labello, deve sudare sette camicie per uscirne attraverso uno stretto passaggio obbligato attraversando il quale raccoglie le sacche polliniche che depositerà nel pistillo di un altro fiore se mai andrà a finirvi nuovamente.
Anche la propagazione da seme è piuttosto complessa. Chi si cimenta con la germinazione asimbiotica sa che il seme da bacello completamente maturo si ricopre di un tegumento che gli impedisce di entrare in contatto con il substrato nutritivo a meno di non essere preventivamente trattato. Ha poi bisogno di un periodo al buio e di uno al freddo per proseguire con la crescita.
Anche in natura pare che sia piuttosto difficile che riesca a riprodursi da seme, per cui in realtà queste grandi colonie sono per lo più il frutto della propagazione da rizoma con cui questa specie si assicura una più facile propagazione. (Per maggiori informazioni: http://www.lidaforsgarden.com/Orchids/cypripedium_eng.htm)

Non pubblico ovviamente qui le indicazioni per raggiungere il sito, ma chi sia interessato può scrivermi privatamente. Tra l'altro, lungo il percorso c'è un'abbondanza notevole di orchidee spontanee di numerosissime altre specie: Dactylorhize maculate più numerose delle margherite di campo, Cephalanthera longifolia, Lystera Ovata da cercare con attenzione perché si confondono nel verde, qua e là qualche Platanthera Chlorantha, numerose Neottie Nidus-Avis che fanno sempre una certa impressione.


mercoledì 13 giugno 2012

L'intruso

Era un po' che non ne parlavo. Non parlo mai volentieri degli insuccessi, e la phalaenopsis 4, dopo dopo un inizio promettente con abbondante formazione di protocormi su substrati vari, era rapidamente virata al bianco scadendo nel più classico e deprimente "browning out".
Prima che i protocormi morissero del tutto, avevo infilato alcune fiasche di Phal-4 nella cappa di sterilizzazione e avevo cercato di salvare il salvabile spostando i globuletti verde pallido sui substrati freschi su cui andavo seminando o ripicchiettando le bletille o le neofinetie delle ultime attività. Non che sperassi realmente di salvarne alcuna, ma mi spiaceva lasciarle morire così miseramente senza dar loro alcuna speranza.
E poi, tra le lanceolate bletille e le piccole neofinetie, qualche tempo fa sono spuntati degli estranei. Protocormi grassi e verdi che tradiscono la genetica materna. All'inizio ho pensato a una neofinetia particolarmente vigorosa ma poi, allo spuntare della prima foglia e della prima radice, tutto si è chiarito. La foto sopra è inequivocabile anche se non rende giustizia della radice a salsicciotto che si sta intrufolando nell'agar morbido. Il confronto con la piccola neofinetia è esplicativo.
E così continua il capitolo phalaenopsis 4 che pensavo oramai del tutto chiuso.

lunedì 11 giugno 2012

Impollinazione Sedirea Japonica

Finalmente quest'anno, dopo un esemplare morto e due anni senza successi, sono riuscito a portare una sedirea japonica a fioritura con tre begli steli floreali. La cura da cavallo di aminoacidi, integratori, concimazioni programmate e illuminazione di rinforzo, ha inoltre stimolato la crescita di nuove foglie di maggiori dimensioni e radici.
I fiori assomigliano a quelli di certe phalaenopsis botaniche ma in miniatura, con un buon profumo tra il gelsomino e la zagara, e d'altronde il periodo di fioritura è più o meno il medesimo.

Ovviamente ho subito provveduto a effettuare un po' di esperimenti con polline di seidrea su ibridi commerciali di phalaenopsis e viceversa. Nessuno ha tuttavia avuto successo, e come unica conseguenza vi è stata l'accellerazione dell'appassimento dei fiori. Li si nota nell'immagine sopra. Sono i fiori più arretrati sulla destra che vanno avvizzendo.
Così alla fine mi sono rassegnato ad effettuare la solita noiosissima autoimpollinazione che, almeno questa, ha dato i risultati sperati.


Si vede bene nell'immagine sopra il picciolo che si va ingrossando con una certa rapidità, caratteristica, quella della velocità, tipica delle epifite giapponesi che, pur mantenendo molte delle caratteristiche delle sorelle maggiori della fascia tropicale, hanno però bioritmi adattatisi al normale trascorrere delle stagioni che prevedono anche un normale inverno con relativa stasi e "sanno" che devono darsi da fare in tempi brevi.
Ho comunque provveduto a fare incetta di polline, messo in una piccola fialetta e conservato in congelatore. La neofinetia falcata a breve fiorirà e ci sarà da fare qualche esperimento di impollinazione incrociata con una specie forse più affine.
Mi riprometto inoltre di acquistare una miniatura di phalaenopsis e di provare ancora qualche incrocio. In rete ho visto che è teroricamente possibile.
Sempre ammesso che questo metodo di conservazione del polline in freezer lo mantenga fertile.

Il Leviatano


Non è un grumo di semi germinato tutto insieme, ma una proliferazione di gemme apicali da alcuni embrioni di neofinetia falcata.
Purtroppo non ho ancora trovato un modo per scrivere i dati delle fiasche in modo che resistano alla sterilizzazione. (Falso in realtà, il metodo c'è, l'ho usato in passato, ma richiede tempo e io mi stufo.) Comunque il punto è che credo che il barattolo faccia parte di una partita di fiasche in cui avevo addizionato acqua di cocco. E questo potrebbe essere il risultato degli ormoni presenti nel liquido che ha stimolato la proliferazione apicale creando questo mostruoso grumo di protocormi gemelli che stentano a emettere foglie e temo moriranno miseramente.
Fortunatamente non è toccata la stessa sorte a tutti i protocormi della fiasca. Alcuni se la stanno cavando egregiamente anche se in realtà non paiono avere una marcia in più rispetto a quelli su substrati standard per cui credo che non proseguirò su questo filone.

sabato 9 giugno 2012

Sfiascamento Bletilla Striata

Tempo di sfiascamenti per le bletille striate dell'orto botanico di Padova. Stavano diventando grandicelle, le radici spuntavano sotto il vasetto attraverso l'agar, e tanto più che non so esattamente come gestirne la deciduità invernale in agar, ho pensato bene di dar loro un po' di tempo per svilupparsi in terra, soprattutto per queste che hanno dismostrato di avere un buon sviluppo.
Nell'immagine sopra si vede il "budino" di agar con tutte le plantule ancora infilate. Il vasetto era dotato di sistema di aerazione con foro e cerotto sterile.

Eccole sfilate e ripulite dal substrato nutritivo e sistemate per essere impiantate in terra. Il substrato era un casalingo, tenuto piuttosto morbido. E questo deve sicuramente aver favorito il buon sviluppo delle radici che sono affondate senza difficoltà. Non è facile trovare il giusto punto di morbidezza tra i fattori in gioco: rapporto agar/acqua, tempi di sterilizzazione in pentola a pressione che se prolungati possono asciugare un po' il tutto e indurire il substrato.
La variabilità genetica e il rapporto con il substrato hanno creato la solita grande differenziazione di vigorosità più che di forme.

Ecco qua alcune delle più belle plantule di bletilla striata. Si nota molto bene come si è già formato un bel bulbetto.

Le piantine sono finite in un substrato altamente drenante, già abbastanza collaudato in precedenza così formato:

1/3 - terriccio di letame maturo
1/3 - agriperlite
1/3 - corteccia di conifera spezzettata il più finemente possibile
Una manciata di cartone a pezzetti di 3/4mm di grandezza. E' questo un nuovo filone di sperimentazione che deriva dalla lettura di un testo sulla coltivazione delle orchidee di cui sono venuto in possesso recentemente e sul quale effettuerò alcuni aggiornamenti nelle prossime settimane.

in vasetti abbastanza fondi perché mi pare di capire che le radici tendano ad affondare parecchio.

giovedì 7 giugno 2012

Orchidee spontanee primavera 2012

Anche quest'anno una breve digressione dalla germinazione asimbiotica per parlare delle orchidee selvatiche, sempre un argomento entusiasmante (almeno dal mio punto di vista).
Questa volta siamo nel territorio collinare di Montorio Veronese, in buona parte coltivato a Vigneti (siamo in zona Valpolicella DOC) e uliveti, ma che presenta ancora alcune zone a macchia boschiva e a prateria incolta.
E' qui che si trovano vere e proprie distese di anacamptis pyramidalis, orchidea selvatica che presenta fitte infiorescenze  a forma conica, da cui il nome.
Sono più numerose delle margherite, a volte sparse, a volte raggruppate in fitte colonie dove probabilmente molti semi di una medesima capsula sono caduti trovando micorrize adatte alla loro germinazione.

In passato, nel medesimo territorio, soprattutto in radure tra la vegetazione boschiva, dove in primavera molti sono i cercatori di asparagi selvatici, avevo rinvenuto anche numerose altre specie di orchidee nostrane, ma nei prati sondati in questa occasione, l'anacamptis è stata l'unica specie rinvenuta.

La primavera fresca ne deve aver ritardato un po' la fioritura che normalmente si ha tra fine aprile e maggio e che adesso invece, ai primi di giugno, era al suo apice.
Le piogge abbondanti devono aver poi favorito l'allungamento degli steli, anche per tener testa all'erba anch'essa cresciuta parecchio con l'abbondante irrigazione.

domenica 27 maggio 2012

Variabilità genetica

Che dire, l'immagine parla da se'.
Le tre phalaenopsis sopra sono state seminate tutte più o meno nelle stesso periodo, in un arco temporale di non più di 3 mesi.
I substrati di coltivazione sono stati più o meno gli stessi (per lo più phytamax e Murashige e Skoog), con minime variazioni su concentrazione e consistenza così come pure ripicchiettaggi e medium post-sfiascamento.
La formidabile variabilità genetica degli incroci (di cui ahimè non ho tenuto traccia), anche in rapporto alle condizioni di coltivazione cui ciascun ibrido meglio si adatta, deve aver fatto il resto. La phalaenopsis a destra è quella più vigorosa tra tutte quelle della prima serie di esperimenti, non ha fatto altro che emettere foglie nuove, sempre più grandi, a getto continuo e radici senza alcuna soluzione di continuità tra stagioni, e senza perderne praticamente nessuna delle vecchie.
Le altre due rappresentano una buona media di quelli che sono gli stati di crescita delle varie piantine sfiascate.

giovedì 24 maggio 2012

La semina era stata fatta "solo" 8 mesi fa.
Il substrato è un phytamax classico, tenuto molto morbido. In alcuni avevo aggiunto anche dell'acqua di cocco mi pare di ricordare anche se è passato davvero molto tempo.
Di vasi ne erano stati preparati parecchi, forse una decina, i semi erano abbondantissimi.
Non c'è molta letteratura on-line sulla semina del cymbidium, soprattutto di questa particolare varietà. Quel che c'è conferma effettivamente i tempi molti lunghi di maturazione delle capsule (tra le più lunghe nel mondo delle orchidee) e di germinazione. Da qualche parte avevo anche letto della necessità di tenere i contenitori inoculati al buio per un certo periodo, cosa che effettivamente ho fatto ma non so sei ciò sia stato o meno determinante, anzi, potrebbe paradossalmente aver allungato i tempi. Ed effettivamente, qualche mese dopo la semina, timidi accenni d rigonfiamento dei semi, poi comunque "bruciatisi", c'erano stati.
Adesso pare che dei protocormi si stiano formando, solo in due contenitori in verità, e con la solita esasperante lentezza. Il tasso di germinazione è stato comunque bassissimo.
Le fiasche sono state posizionate ora in posizione sud-ovest con vetro "schermato" per evitare l'insolazione diretta.
Da qualche altra parte ho letto che questa specie, prima di dare vita a foglie, passa un certo periodo a formare una specie di rizoma a partire dal protocormo. Il tutto, ne sono certo, avverrà con graaande calma.

mercoledì 23 maggio 2012

ORCHIBO

Era già qualche anno che provavo ad andarci ma essendo maggio normalmente un mese un po' impegnativo non ero mai riuscito a trovare il tempo.
Quest'anno invece, con il fine settimana libero, e nonostante il terremoto, ho fatto una bella gita a Bologna per ORCHIBO, mostra mercato di orchidee organizzata dall'Associazione Emilia Romagna Amici Delle Orchidee: AERADO.
La mostra si tiene in una maestosa e decadente villa in stile palladiano circondata da un parco altrettanto maestoso e altrettanto decadente.
Gli espositori sono allineati lungo il pronao della facciata e delle ali dell'edificio.
Rispetto alle aspettative gli espositori sono pochini ma ci sono comunque cose interessanti. Ci sono anche alcuni espositori esteri il che da' anche quel tocco internazionale che non guasta.
Deludono un po' le molte varietà strettamente commerciali di phalaenopsis, cymbidium, vanda, dendrobium, ecc, che si trovano comunemente nei garden center.
C'è comunque una bella selezione di miniature particolari montate su corteccia e sughero, varie phalaenopsi botaniche, numerose terricole.
Poche le neofinetie e nessuna sedirea che cercavo per effettuare alcuni incroci con la mia in piena fioritura in questi giorni. Molti in verità gli incroci di neofinetia tipo neostilis con belle fioriture che mi hanno molto tentato.
Sempre affascinanti i cypripedium in fiore.
In una sala sul retro della villa era invece allestita l'esposizione non commerciale. Tutte le specie, messe su materiale di riciclo come vecchie bici, frigoriferi, ecc, erano davvero impressionanti per dimensioni e fioriture. Sempre belli anche i bonsai in mostra lì affianco.
Addentrandosi nel parco si arriva anche alla piccola serra dell'associazione, dove i simpatici addetti dispensavano consigli e rinvasavano gratuitamente le piante di chi le aveva portate.
Anche qua il solito stile "bolognese" un po' decadente ma amichevole.
In generale le piante in mostra, sia quelle in serra, mi sono sembrate un po' sofferenti. Molte le foglie pallidi, qualcuna chiazzata (non vorrei mai mettere in collezione una pianta con infezioni virali). Soprattutto molte le piante con incrostazioni calcaree e saline probabilmente dovute ai fertilizzanti. Altra cosa che colpisce sono i prezzi non proprio economici.
Comunque alla fine me ne sono andato con una bletilla striata varietà alba, un flacone di biostimolatore a base di aminoacidi e una fiasca con tre piantine di phalaenopsis incrocio di una "red ink" e una "fasciata". Altra delusione l'unico banchetto di fiasche di piantine su agar che pensavo invece fossero più numerosi.


sabato 28 aprile 2012

Riflessioni varie

Il tempo scarseggia, e in realtà anche le novità, ed è un po' che gli aggiornamenti latitano.
Le neofinetie ripicchiettate procedono, così come le bletille sfiascate. Ci sono dei nuovi arrivi ma non rientreranno nei temi trattati in questo luogo fino a quando non fioriranno e saranno pronti a nuovi esperimenti di impollinazione.
Ci sono alcuni fallimenti dei quali mi rattrista parlare, soprattutto quello dell'"epidendrum internazionale", il sarchochilus japonicus e un cymbidium ibrido che ho preso qualche tempo fa al supermercato.
C'è qualche accenno di successo di cui ho ancora timore a parlare come i piccoli protocormi di cymbidium goeringi che dopo 6 mesi sembrano fare capolino e alcune phalaenopsis delle prime semine che mostrano una sorprendente vitalità.
In questo momento di stasi mi viene da mettere insieme in questo post alcune riflessioni fatte sulla base della poca e del tutto empirica esperienza fatta in questi primi anni di attività.

Contenitori
Innanzi tutto qualche prima conclusione sui contenitori. Vasetti in vetro di maionese, di tonno sott'olio, olive denocciolate, pesto, ecc. vanno tutti bene. Contenitori piccoli, per quanto comodi da maneggiare e da sterilizzare in pentola a pressione non danno buoni risultati. Così come, nonostante li abbia utilizzati molto e in molte occasioni soprattutto all'inizio, non sono mai riuscito ad avere germinazioni nei famosi vasetti Bormioli 4 Stagioni, quelli da marmellate casalinghe per intenderci.
L'ipotesi da verificare è quella che i contenitori molto piccoli e i Bormioli non garantiscano un sufficiente scambio gassoso. Per quanto anche gli altri vasetti siano a tenuta ermetica, la sensazione è che essi comunque garantiscano un minimo di scambio gassoso con l'esterno, quel minimo che permette la sopravvivenza e lo sviluppo della pianta.
L'idea mi è venuta l'altro giorno parlando con la commessa di un fornitissimo negozio di prodotti per la casa. La commessa, preparatissima, mi spiegava come il successo dei vasetti 4 stagioni Bormioli sia garantito dal brevetto su un tipo di tappo a vite per i propri barattoli, con una guarnizione in gomma fatta in modo tale che chiudendolo e stringendolo, esso si deforma e si adatta al profilo dell'orlo del vaso in vetro, garantendo una tenuta perfetta. A parità di substrato, di semi, di protocollo di sterilizzazione e inoculamento, le semine in vasetto Bormioli non davano buoni risultati. L'unica cosa che mi viene in mente per giustificare tale risultato è che ciò sia dovuto alla grande tenuta dei vasetti Bormioli in confronto a quelli standard e quindi un problema con gli scambi gassosi. Lo stesso forse avviene con i vasetti troppo piccoli che non hanno un sufficiente volume di gas all'interno.
Non me ne vorrà il signor Bormioli, dato che i suoi vasetti non sono certo stati ideati per la germinazione asimbiotica delle orchidee, e che la loro inadeguatezza a quest'uopo sia forse proprio dovuta alla loro grande tenuta ermetica.
In realtà questa riflessione potrebbe essere confutata dal fatto che molti "coltivatori" utilizzino in realtà con successo i vasetti Bormioli.

Buoni risultati li ho ottenuti anche con vasetti in plastica, come barattoli di colluttorio usato, ecc. Il loro riempimento e sterilizzazione è però un po' macchinoso. Probabilmente, con un forno a microonde come ho visto fatto in rete, le cose sarebbero più facili. Magari quando ne prenderò uno.

Segnalo poi un blog gemello molto carino. E' di un coltivatore giapponese, anche il testo in realtà è in giapponese, tutto dedicato alla germinazione e coltivazione asimbiotica delle orchidee.

/http://fromseed.blogzine.jp/

Il titolo del blog è letteralmente "Progetto germinazione senza fungo"!

domenica 18 marzo 2012

Aggiornamento Epidendrum

Un rapido aggiornamento sull'impollinazione dell'epidendrum vitellinum.
Dei due fiori impollinati uno non è andato in porto. E' quello sulla sinistra che appare tutto secco e raggrinzito. Con i pollini suddivisi in più sacche polliniche è più complicato avere successo con l'impollinazione. E' successo anche con la bletilla striata. Probabilmente è qualcosa che sbaglio io.
L'altro fiore, quello centrale, invece appare in gran forma e sta sviluppando con una certa rapidità una capsula. Lo si capisce confrontandolo con l'altro fiore non impollinato sulla sinistra.
Da una rapida ricerca ho scoperto che l'epidendrum, tra le orchidee epifite, è una delle specie che porta la capsula a maturazione in minor tempo. Per una semina con capsula verde siamo attorno ai 3 mesi, la metà di quello che serve a una phalaenopsis, un terzo di ciò che serve al cymbidium.

giovedì 8 marzo 2012

Un'ape dalla Svezia

Si potrebbero fare tante riflessioni sulla particolare strategia evolutiva delle orchidee, in particolare sull'eliminazione dell'endosperma per ridurre al minimo le dimensioni dei semi aumentandone esponenzialmente il numero e affidando la loro nutrizione al rapporto parassitico-simbiontico con particolari funghi. Si potrebbe parlare a lungo, ammesso che ve ne sia l'interesse, sul ruolo che questa particolarissima strategia ha avuto nella grande diffusione di questo genere di piante su tutto il globo terrestre. Le orchidee sono il genere vegetale più diffuso, escluse le aree desertiche e artiche, le si trovono ovunque, dalle foreste pluviali, ai pascoli alpini ai sottoboschi sub-artici.
Niente però eguaglia un'altra strategia evolutiva, molto più potente, che ha garantito una diffusione ancora maggiore delle orchidee, anche in luoghi assai diversi e lontanissimi dal loro habitat naturale. Per qualche strano motivo infatti le orchidee sono in grado di appassionare un gran numero di collezionisti, che costruiscono serre e condizioni ambientali per permetterne la sopravvivenza e la fioritura in ogni angolo della terra, garantendone così un'ulteriore diffusione.
Succede quindi che un'orchidea che nasce e cresce nelle foreste montane del centro e sud America, può andarsene in giro per il mondo a colonizzare appartamenti nella fredda Svezia. Nello specifico quello di una coltivatrice hobbista di Gothenburg che ha anche un interessantissimo blog che seguo con attenzione.
In questi giorni ha postato un report sulla fioritura di una splendida varietà di Epidendrum Vitellinum dal colore sgargiante.
Si da' il caso che un paio di setimane fa, a una mostra di orchidee in un garden center in provincia di Verona abbia acquistato una varietà botanica proprio di epidendrum vitellinum, o almeno così era sctitto sul cartiglio che l'accompagnava, anche se alcune ricerche mi fanno venire dubbi sulla corretta categorizzazione.

Così mi sono deciso a srivere alla blogger per avere del materiale genetico, polline nella fattispecie, della splendida varietà. Così, giacché non siamo in italia, la risposta è stata immediata, e tempo tre giorni è arrivato un pacchetto con affrancatura svedesce con all'interno un pacchetto ben confezionato all'interno del quale ho trovato quattro fiori di un magnifico rosso aranciato freschi come se fossero sbocciati da poche ore.

In fondo è come se al posto dell'ape, o del qualsivoglia insetto impollinatore, il polline fosse stato portato dal servizio postale svedese-italiano a bordo di un qualche aeromobile a un paio di migliaia di chilometri di distanza. Potenza della strategià riproduttiva 2.0 delle orchidee.

Ed eccole qua le sacche polliniche, avvolte dalla copertura dello stesso sgargiante colore arancio dei petali.

Tolta questa copertura, il polline appare suddiviso in quattro granelli, un po' come accade per a bletilla, e non in due sacche, come per phalaenopsis, cymbidium, di cui avremo a parlare nei prossimi post, e affini.

Ecco qui il fiore ricevente, dai colori decisamente meno sgargianti, che speriamo possa offrire una valida base per la formazione di ibridi interessanti. Il patto con la coltivatrice scandinava prevede che in caso di successo di questo progetto, una parte delle fiasce e/o delle plantule, venga dato in cambio del polline ricevuto. Cosa che farò più che volentieri.

Ed ecco qua il pistillo, ovvero l'alloggiamento del polline nel fiore ricevente. Non mancheremo di postare aggiornamenti nelle settimane a venire.

martedì 6 marzo 2012

Ripicchiettatura Neofinetia Falcata

Un breve aggiornamento sulla semina della Neofinetia Falcata. Le piante dimostrano tutta la loro vitalità, e forse sentono l'arrivo della bella stagione. Le vecchie fiasche-madri iniziavano ad andare strette ai protocormi che mostravano segni di sofferenza.
Con un po' di riluttanza dati i molti impegni ho così deciso di darmi a un po' di ripicchiettature su substrati freschi. Per l'occasione ho inaugurato il Phytamax P1056 da trapianto, fornitomi dal solito dealer per un prezzo piuttosto conveniente, che rende pletorico il cimentarsi con gli incontrollabili substrati casalinghi.
I risultati a qualche giorno di distanza dal lungo pomeriggio chino sulla cappa sterile sono tutti nella foto sopra.
La crescita delle piantine ha ripreso abbrivio, il colore è diventato un bel verde brillante e alla base della prima fogliolina sta facendo capolino la seconda.
Per ora sono ancora sotto luce artificiale a ridosso di una finestra con esposizione sud-ovest, ma ho già spostato un paio di fiasche a sola luce naturale giacché le giornate si vanno orami allungando.

domenica 26 febbraio 2012

Sfiascamento Bletilla Striata

Eccoci qua dopo un bel po' di tempo.
Non che novità non ci siano state, ma il tempo è sempre quello che è e la vita, si sa, è fatta di priorità.
Ad ogni modo eccoci qua dicevamo.
Le bletille padovane di una delle prime fiasche iniziavano a dare segni di sofferenza. La consistenza della gelatina era stata tenuta molto morbida e le radici ormai facevano capolino sul fondo, segno di un buon sviluppo. I primi esperimenti di trapianto in terra di avanzi di ripicchiettaggio erano andati piuttosto male. Ma ora, con un apparato radicale già sviluppato e un abbozzo di bulbo le probabilità di successo sono forse maggiori.
Solite procedure quindi, rimozione del gel, ripulitura delle radici, ecc.

E poi un po' di invasamento. Alcune sono andate in un mix di stallattico maturo, sabbia, akadama tsuchi, terreno di origine vulcania utilizzato per i bonsai (in Giappone te lo tirano dietro, qua in Italia lo vendono a prezzo da tartufi), lapillo vulcanico. Altre in un mix di torba, stallattico, corteccia sminuzzata, argilla espansa.

Siamo a 4-5 giorni dal trapianto e la maggior parte sono ancora vive.
Il problema adesso temo sia il fotoperiodo. La bletilla è una pianta stagionale, e come ciclo vegetativo adesso siamo a 6 mesi avendola seminata ad agosto. Non vorrei che le piante, giacché non sono più nell'incubatrice con luce artificiale, finissero per soffrire la brusca riduzione delle ore di illuminazione.
Comunque le riflessioni che si possono fare alla fine di un pomeriggio "buttato" a trapiantare piantine di bletille, riguardano la strategia riproduttiva delle orchidee. Siamo al 4 o 5 sfoltimento, se si includono i ripiecchiettagi, e ci sono fiasche dove le plantule sono ancora fittissime, probabilmente qualche migliaio. Un numero così alto di semi è indubbiamente una garanzia di successo anche su percentuali di germinazione irrisorie. E' un po' lo stesso principio evolutivo adottato dalle tartarughe marine che tanti documentari ci hanno insegnato.
E infatti ieri mi sono deciso e ho scritto all'Orto Botanico di Padova per chiedere loro se non siano disposti a riprendersi le plantule. Magari qualcuno dei responsabile del settore orchidee è disposto a prendersene cura. In realtà temo che non mi risponderanno.