sabato 24 dicembre 2011

Orchidee spontanee del monte Baldo

Siamo nel pieno dell'inverno, con le giornate più buie e grigie dell'anno. Novità tra le fiasche ce ne sono, ma non ancora così evidenti da essere degne di racconto.
Ecco quindi mi pare ben augurante pubblicare alcune fotografie scattate lo scorso 21 maggio, in un fresco pomeriggio di svago sul monte Baldo.
Il monte Baldo è il più alto rilievo della provincia di Verona, un massiccio le cui punte più elevate arrivano ai 2200 metri e che corre parallelo alla costa est del lago di Garda. Di fatto, le pendici del versante occidentale del Baldo terminano nelle acque del più grande lago d'Italia.
Durante l'ultima glaciazione, quella che ha dato vita allo stesso lago di Garda, tutta la zona circostante il Baldo era ricoperta da uno strato di ghiaccio spesso circa 1000 metri. Le vette del monte erano tra i pochi territori a rimanere fuori dal ghiaccio, riuscendo, in primavera ed estate, a lasciare libero un po' di terreno dove riusciva a svilupparsi la vegetazione. Questo permise a molte specie vegetali di continuare a evolversi mentre nel resto dell'arco alpino e sub-alpino, la dura coltre di ghiaccio non permetteva lo sviluppo di alcuna forma vegetale. Sul Baldo quindi si trovano ancora oggi moltissime varietà le cui caratteristiche sono uniche tanto che il nome scientifico porta spesso la dicitura "baldensis".


Non fanno naturalmente eccezione le orchidee. Anzi, molte delle specie vegetali per cui il Baldo è conosciuto tra i botanici sono proprio orchidacee. In alcuni bassi prati sui pendii della montagna veronese, le orchidee sono più numerose delle margherite.
Non sono un grande tassonomista anzi, trovo la catalogazione piuttosto noiosa, per cui non tedierò nessuno con la denominazione delle varie specie fotografate.

Orchis morio, orchis militaris, orchis italica, serapis, ophris, nigritella, sul Baldo ci sono quasi tutte. Alcune di queste erano in fiore a maggio e sono state immortalate qui. Gli appassionati possono divertirsi a nominarle.

Sul Baldo è anche diffusa la famosa, e ahimé in pericolo a causa della raccolta indiscriminata e demente, Cypripedium Calceolus che, nonostante non portasse fiori, credo di aver individuato in alcune foglie ai margini di macchie di pini e abeti. Magari l'anno prossimo riuscirò ad immortalarne alcuni fiori.



lunedì 28 novembre 2011

Aggiornamento Bletilla ripicchiettata

Un aggiornamento sulla Bletilla Striata ripicchiettata un paio di settimane fa su Phytamax morbido.
Tutto procede molto bene. Non ho perso alcuna piantina e anzi quasi tutte crescono piuttosto bene sviluppando le foglie che già avevano e aggiungendone anzi di nuove. Dal nodo basale di una piantina, non si vede nella foto, si sta sviluppando una radichetta. Il substrato molto morbido dovrebbe favorire la diffusione radicale.

Germinazione Neofinetia Falcata


Le epifite sembrerebbero davvero essere le orchidee più facili da far germinare, non importa se di provenienza tropicale o meno.
Ne è una riprova la piccola Neofinetia. In poco più di un mese dalla semina sta dando segnali positivi un po' su tutti i substrati impiegati: Phytamax, addizionato o meno con cocco o banana, e perfino siu casalinghi che si vanno ricoprendo di piccolissimi puntini verdi.
Quello sopra è il più promettente. Phytamax a piena concentrazione, con luce artificiale a fotoperiodo di 12 ore circa. Temperatura attorno ai 22-23 gradi.
La crescita, va da se', è lenta, ma pare costante. Vediamo se non fa brutti scherzi andando avanti nello sviluppo.

mercoledì 16 novembre 2011

Ripicchiettaggio bletilla striata


Primo ripicchiettaggio della bletilla striata 2, quella piantata ad agosto.
Prima occasione per sperimentare il lavaggio della cappa sterile.
Negli scorsi ripicchiettaggi avevo notato come le piantine ripicchiettate subissero delle bruciature sulle foglie anche consistenti. Conclusi che la causa era da attribuirsi all'atmosfera della cappa sterile satura di vapori di candeggina caustici. Così sono arrivato allla metodologia sperimentata in quest'ultima occasione.
Nella solita cappa sterile ho praticato un forellino sulla parete verticale subito sopra il livello del fondo. Il forellino è stato quindi tappato con del nastro adesivo.
Tutto poi procede come sempre, con la cappa sterile che viene spruzzata di abbondante candeggina. Dopo alcuni minuti in cui si lascia che i vapori sterilizzino tutto, viene rimosso un lembo del nastro che tappa il buco e si lascia defluire la candeggina in eccesso. Per non fare danni, la cappa sterile è stata posizionata su un lavandino, dandole un minimo di stabilità con del nastro adesivo.
All'interno della cappa sterile, assieme ai soliti materiali, è stato inserito anche un contenitore di soluzione sterile di cloruro di sodio (sale da cucina) allo 0,6%, quasi acqua distillata. Si trova nei negozi di sanitari per pochi centesimi, in confezione sigillate da mezzo litro e da un litro. Viene ovviamente sterilizzata anch'essa, ancora sigillata, con la candeggina all'interno della cappa sterile.
Ho quindi riempito lo spruzzino con cui irroro tutto con la candeggina con la soluzione sterile, e ho irrorato tutto di nuovo con acqua quasi fresca. Ho fatto scolare tutto dal solito forellino. E sciacquato nuovamente per un altro paio di vole.
Alla fine i vapori di candeggina dovrebbero essersi ridotti di molto e si può operare.
Il ripicchiettaggio è avvenuto in un substrato phytamax tenuto molto morbido, forse anche troppo. La consistenza è quella di un budino alla vaniglia, ma questo mi ha permesso di affondare le plantule di bletilla nel substrato. Le bletille germinate sulla superficie del substrato infatti hanno la parte bassa liscia e dritta, come se fosse un mini gambo di porro all'estremità del quale vi sono le radichette e poi, da un rigonfiamento a metà, partono le foglie. Ho quindi conficcato le piantine nel substrato fino al punto in cui partono le foglie.
Vediamo se così riesce a svilupparsi meglio il bulbo.

domenica 6 novembre 2011

Prima semina Neofinetia Falcata

Eccoci qua, il momento è giunto. 5 mesi circa dall'impollinazione dovrebbero essere sufficienti a garantire la germinabilità ai semi della Neofinetia Falcata 1.
Poi comunque i baccelli sono due e in caso di errori abbiamo ancora una possibilità con l'altra capsula.
Il colore è ancora verde e inizia appena appena a virare al giallo.


Non ho messo alcun oggetto di paragone per determinarne le dimensioni. Sarà lungo in totale un paio di centimetri. Era il più piccolo tra i due, anche se ho la sensazione che sia stato il primo ad essere impollinato.
La semina è avvenuta in cappa sterile su alcuni substrati vari: phytamax a piena concentrazione, una paio di caslalinghi addizionati di acqua di cocco, casalinghi senza additivi, un phytamax con banana.
Come sempre sono molto dubbioso sul successo dell'operazione. I fattori in gioco sono sempre molti per cui, con i mezzi casalinghi di cui si dispone, è difficile capire eventuali insuccessi a cosa siano dovuti.
Osservando alla lente i semi nelle fiasche alcuni appaiono chiari, quasi bianchi, altri invece sono più scuri, di un colore marroncino. Il dubbio è che i vapori di candeggina utilizzati nella sterilizzazione li abbiano "cotti".
Magari con la prossima semina adotto il sistema di lavaggio interno delle cappa sterile che ho studiato recentemente per i ripicchiettaggi e che dovrebbe garantire un ambiente meno ostile a plantule e semi nei momenti in cui sono a contatto con l'ambiente saturo di vapori di candeggina all'interno della cappa.

giovedì 3 novembre 2011

Successi e insuccessi

Protocormi che vanno, protocormi che vengono. Ecco un rapido aggiornamento sulla Palaenopsis 3/4, semina effettuata il 22 luglio. Due soli vasetti hanno dato risultati. Gli altri, con substrati vecchi anche di due anni, sono rimasti inerti, uno è in forse.
Quello dell'immagine sopra era un vecchio substrato casalingo. Alcuni protocormi danno segni di "stanchezza" e sono un po' moribondi. Altri invece, con il loro bel verde brillante, parrebbero in buona forma. Uno addirittura, si intravede al centro, sulla destra di quelli più grassottelli, ha emesso una fogliolina.
Non stanno procedendo molto velecemente in verità. Il substrato probabilmente è un po' scarico, e prima che li mettessi nell'incubatrice con luce artificiale, hanno forse sofferto l'abbassamento di temperatura di queste ultime due settimane.


Ma veniamo alle note dolenti. Il temutissimo "browning out", l'irreversibile moria di protocormi che prima scoloriscono, poi crepano. E il bello è che il vasetto conteneva un substrato dell'Orchid Seed Bank Project con contenuto bilanciato di polvere di banana appositamente studiato per prevenire questo fenomeno del quale gli "orchidologi" non sanno darsi una spiegazione.
Se non ci riescono gli esperti perché dovrei riuscirci io? E infatti nemmeno ci provo. Come sempre i fattori in gioco sono sempre molteplici: substrato vecchio, sbalzi di temperatura, fotoperiodo sbagliato. Chissà.
Speriamo che l'altra fiasca che per ora procede abbastanza bene non faccia brutti scherzi.

martedì 1 novembre 2011

Aggiornamento bletilla

E un rapido aggiornamento anche sulla bletilla striata 2, quella proveniente dall'Orto Botanico di Padova.
La crescita prosegue, non rapida come mi aspettavo in realtà, ma costante. Anzi, iniziano forse ad essere un po' troppo fitte e ammassate, e sono probabilmente troppo piccole per pensare già a un ripicchiettaggio.
In realtà la preoccupazione, se i problemi di un'orchidea terricola possono davvero dare preoccupazione, è la questione radicazione. La bletilla striata è un'orchidea terricola che forma dei bulbi sotterranei. Per ora bulbi ovviamente non ce ne sono, ma le piantine, ormai si possono chiamare così, alla base hanno emesso delle radichette sottilissime che si espandono a raggera quasi come un soffione. Mi chiedo se questa parte della piantina non dovrebbe in realtà affondare nel substrato dove potrebbe espandersi dando poi vita al bulbo.

Per ora sembrano non avere problemi, potrebbe magari essere un problema che si porrà al momento del ripicchiettaggio, quando però la piantina avrà dimensioni e robustezza tali da permettere una più facile maneggiabilità.

giovedì 27 ottobre 2011

Impollinazione Kaya Ran

Alla fine lo sapevo che non avrei resistito. Ed eccola qua, la piccola Kaya Ran (Sarcochilus Japonicus è lungo e complicato da dire) con il fiore che si è seccato per lasciare spazio a un minuscolo baccello che si va formando. Sarà lungo nemmeno mezzo centimetro.
L'impollinazione è stata piuttosto semplice, anche se in realtà, date le dimensioni ridotte è andata un po' alla cieca. Il viscidum, così dovrebbe chiamarsi la parte adesiva delle sacche polliniche, ha aderito subito allo stuzzicadenti che ho usato come ausilio. Ho lasciato poi il polline qualche minuto all'aria perchè si attivasse (alcune orchidee hanno questa strategia per ridurre le autoimpollinazioni), e poi l'ho ripassato sul pistillo dove, visti i risultati, si è depositato correttamente.
Il fiore era probabilmente un'anomalia data dal clima innaturalmente caldo di settembre e delle prime due settimane di ottobre, e bisognerà quindi vedere se le temperature rigide non faranno abortire la capsula.

Aggiornamento sulla sterilizzazione gassosa

Un rapido aggiornamento sulla tecnica di semina con sterilizzazione gassosa.
A dieci giorni dalle semine ecco qua una bella fioritura di muffe. Bisogna ammettere che hanno sempre il loro fascino...
Di una decina di vasetti seminati fin'ora tre hanno sviluppato muffe e contaminazioni varie. Non moltissime in realtà, ma più di quante non si verificano con la cappa sterile, per la quale ho ormai un protocollo assai ben collaudato. Direi che può andar bene con semi dozzinali, ma per semina con materiale più raro è forse meglio andare sul sicuro con la vecchia tecnica.
Per le altre fiasche non contaminate poco movimento. Solo una di bletilla di quella che avevo sul balcone sta dando qualche segnale di vita. Le altre, la phalaenopsis 4 e il cymbidium goeringii tacciono, ma le ragioni potrebbero essere molteplici: semi non, o non più, fertili, o dormienti, substrati non adatti, ecc.
Non resta che attendere.

lunedì 17 ottobre 2011

Sterilizzazione Gassosa

Ne avevo letto un po' di tempo fa. E giacché mi trovavo un po' di semi avanzati ho deciso di provare.
E' un tipo di sterilizzazione dei semi di orchidea che non prevede la cappa sterile. La sterilizzazione viene effettuata per mezzo dei vapori di candeggina direttamente all'interno del vasetto con il substrato.
Il metodo è spiegato in dettaglio qui.
In realtà, se si hanno parecchi vasetti da seminare non è che si risparmi poi così tanto tempo come può sembrare. E' ottimo se si vogliono fare 2 o 3 vasetti rispetto a tutto l'ambaradan della cappa, altrimenti più o meno come tempi si equivalgono. Il vantaggio è il non dover star chini sullo scatolone di plastica e tutto il casino che si combina con la candeggina.
Usando questo sistema ho piantato i semi rimanenti della mia Bletilla, e della Phalaenopsis 4 su un substrato casalingo a base di fertilizzante da geranei, zucchero e fruttosio in parti uguali, carbone da acquario polverizzato, agar e latte di cocco. A proposito di ques'ultimo, in un negozio di prodotti organici ho trovato un cartoncino di acqua di cocco che, stando all'etichetta, è purissima e presa da cocchi verdi.
Le dosi sono state le seguenti:

1 litro d'acqua
4,5 grammi di fertilizzante (un npk 7-4-7)
10 grammi di zucchero
10 grammi di fruttosio
8 grammi di agar
100 ml di acqua di cocco

Con lo stesso sistema ho poi piantato un po' degli abbondantissimi semi di Cymbidium Goeringii su un paio di vasetti di Phytamax. Me ne avanza ancora una provetta piena, e se qualcuo vuole cimentarsi sono ben contento di cederli o di fare uno scambio. Altrimenti li libero in campagna in zone qui dove ci sono parecchie orchidee selvatiche. Chissà che qualche micorriza non vada bene anche per il Cymbidium Goeringii

Comunque, adesso bisognerà vedere se
a) la sterilizzazione funziona e non mi ritrovo invece con una super collezione di muffe
b) se la sterilizzazione non funziona troppo e mi ritrovo con germi e muffe ma anche semi stecchiti.
c) se il substrato è valido per i tipi di semi che ho piantato.

Come sempre non mancherò di postare aggiornamenti.

mercoledì 12 ottobre 2011

Clima Impazzito

Il caldo di questi giorni sta facendo impazzire le piante. Non lontano da qui hanno segnalato un ciliegio in fiore, nel viale che mi riporta a casa lo stesso è capitato a un ippocastano e la vite che mi cresce sul balcone sta mettendo nuovi germogli.
Le orchidee non potevano esimersi, dato che il caldo secco mi impone di mantenere l'umidificazione alta in quanto le stagionali come la bletilla, la sedirea o la neofinetia non mi vanno in stasi invernale. E così, una delle nuove arrivate, un Sarcochilus Japonicus, conosciuta nella sua lingua come Kaya Ran (カヤ欄), ieri è fiorita.
Si tratta di una piccola epifita, praticamente una Vanda in miniatura che però cresce a testa in giù, con le radici che invece vanno verso l'alto e i fiori che pendono.
E' vero che emette gli steli floreali nella stagione autunnale, per poi portare la fioritura a compimento in primavera, ma questa condizione atmosferica le ha fatto completare il ciclo senza pause.
Adesso il dilemma è se impollinare o meno. Si tratterebbe di un'autoimpollinazione, perché di fiore ce ne è uno solo, sebbene se continua con questo caldo potrebbero arrivarne degli altri. E poi, quando il freddo arriverà (se arriverà) il frutto fuori stagione verrebbe mantenuto o cadrebbe? Sempre ammesso che riesca a impollinare, il fiore infatti è parecchio minuto, non più di mezzo centimetro, e maneggiare le sacche polliniche sarà una vera impresa.

giovedì 29 settembre 2011

Semina Cymbidium Goeringii


Ed eccoci qua al gran momento. Sono passati circa 6 mesi dall'impollinazione avvenuta a marzo. Per certi cymbidium danno tempi di maturazione anche superiori all'anno. Sul cymbidium goeringi, specie asiatica diffusa in Cina e Giappone, non c'è in realtà molta letteratura, almeno on-line. Così sono dovuto andare un po' a occhio. Il trucco è stato quello di dare dei piccoli colpetti sulla capsula con l'unghia. Sebbene fosse ancora bello verde, ultimamente faceva un rumore un po' sordo, come certe zucche che iniziano a seccare. Dato che di capsule ne ho due, ho deciso di provare con una.
Fatta la solita sterilizzazione con alcol e detersivo prima, con candeggina poi. In questo caso ho anche effettuato una piccola tolettatura delle estremità secche della capsula che è davvero di dimensioni considerevoli.
La semina è avvenuta in cappa sterile su substrati vari: phytamax a concentrazione piena, phytamax a concentrazione più blanda (aggiunta di circa un 10-15% in più di acqua distillata) addizionato di acqua di cocco e addizionato con banana.
Ed ecco la capsula aperta. Di semi ce n'erano davvero un quantitativo notevole. Pur avendo seminato 7 vasetti circa, ne sono avanzati moltissimi.


Così li ho raccolti su un foglio di carta, e dopo averli fatti asciugare per bene li raccoglierò in una bustina conservandoli in frigorifero.


Pare che il cymbidium goeringii sia abbastanza difficile da far germinare in vitro per via asimbiotica. Mi chiedo se con i substrati approssimativi che ho realizzato riuscirò ad avere qualche risultato. Su alcuni testi si parla anche di un periodo di buio che i semi debbano trascorrere prima di germinare. Altri dicono che in realtà il periodo di buio aiuta a sviluppare le foglie ma non le radici. Insomma non si capisce molto.
Ciò su cui tutti paiono concordi sono i tempi biblici per la germinazione delle terricole tropicali e sub-tropicali. Prima che spunti la prima foglia possono passare anche due anni in cui dal protocormo iniziale si sviluppa prima una specie di rizoma che solo dopo che si è sviluppato a sufficienza darà vita al primo germoglio.
In ogni caso non credo che impollinerò nuovamente i fiori di questa orchidea. I due baccelli erano davvero grossi, per portarli a maturazione la pianta deve aver fatto uno sforzo notevolissimo, tanto che quest'anno non ha emesso nemmeno un nuovo getto fogliare e ho idea che non produrrà nessuna fioritura la prossima primavera. Il cymbidium goeringii infatti emette i boccioli alla fine dell'estate, così che siano pronti a germogliare ai primi caldi della primavera (da cui il nome giapponese "shunran", orchidea di primavera). Al momento però dei nuovi boccioli non si vede nemmeno l'ombra.

Semina Phalaenopsis 4


Il rientro dalle, troppo brevi, vacanze estive, ha fatto trovare una sorpresa.
La capsula della phalaenopsis 4 aperta.
Si tratta di una nuova entrata. Era di proprietà di una parente, che ce l'aveva da anni, aveva messo delle gran foglie e radici, ma di fiori neanche l'ombra. La parente me l'ha quindi passata. Messa in idroponica, e trattata con un bel po' di luce e un po' di sbalzi di temperatura giorno notte nel periodo autunnale, ha emesso un bello stelo floreale che nell'arco di qualche mese ha dato una fioritura bianco candido.
Una impolilnazione è andata in porto, non ricordo a dire il vero se fosse un'auto-impollinazione o avessi utilizzato del polline "preso" in giro. Comunque la capsula che si è formata era davvero di dimensioni considerevoli.
Il fatto di averla trovata aperta mi ha costretto a una semina con sterilizzazione dei semi. Sempre piuttosto macchinosa. In alto si vedono i semi in ammollo in acqua distillata e zucchero. Li lascio normalmente una notte così che eventuali spore fungine, sempre molto resistenti quando sono dormienti, abbiano il tempo di risvegliarsi ed essere perciò più vulnerabili alla successiva sterilizzazione che avviene con acqua ossigenata.


Ed ecco i semi in sospensione in perossido appunto (acqua ossigenata), nella siringa che viene messa, con tutto l'armamentario, nella cappa sterile. La semina è avvenuta su substrati vari: phytamax a piena concentrazione, OSP, phytamax a mezza concentrazione (ma con zucchero e agar a valori standard), con aggiunta di acqua di cocco e polpa di banana.
Alcuni semi hanno già iniziato a dare segni di vita a distanza di un paio di settimane, ma sono ancora troppo blandi per fotografarli, per cui rimanderemo aggiornamenti a post successivi.

Bletilla Striata, ci riproviamo


Ed eccoci di nuovo con la vecchia bletilla striata. Ci riproviamo. Questa primavera siamo riusciti a farla fiorire, e almeno per un fiore siamo riusciti anche nell'impollinazione che ha portato alla formazione di una capsula. Comparata con le capsule delle bletille trovate all'Orto Botanico di Padova, è parecchio più piccola e striminzita, ma ciò nonostante pare bella sana e piena di semi.


La sterilizzazione è stata effettuata passando la capsula prima in una provetta con alcol con l'aggiuta di una goccia di detersivo per piatti (per rompere la tensione superficiale) e poi, sempre nella stessa provetta, con l'aggiunta di candeggina commerciale. La semina è avvenuta con l'ausilio della nuova cappa sterile, in vasetti contenenti vari substrati, a piena e a mezza concentrazione, semplici e addizionati di siero di cocco (l'acqua che si trova all'interno dei cocchi in commercio nei supermercati) e di polpa di banana, nella misura di 50ml e 50g rispettivamente per 450ml e 500ml di substrato. La capsula era effettivamente piena di semi, già apparentemente secchi al suo interno il che, a meno che non siano sterili di loro, dovrebbe garantirne la germinabilità. L'impollinazione era avvenuta a fine marzo, quindi la capsula aveva circa 6 mesi di vita.

Protocormi e principio di moria


Ed eccoci qua con l'altro aggiornamento della semina agostana. Il quarto baccello, il terzo era stato piantato due anni fa, della phalaenopsis 3.
La germinazione è stata rapida, e tutto è andato piuttosto spedito per due dei vari vasetti con substrati avanzati dalle semine precedenti. Più precisamente un substrato OSP e uno casalingo.
Ora però sono iniziati i guai. Si intravede anche nella foto che ha ormai quasi una settimana. Oltre ai protocormi cicciottelli e di un bel verde acceso, se ne vedono altri di un verde menta scarico, quasi traslucidi. Ora però le cose sono peggiorate e penso proprio che ci troviamo di fronte a un chiaro esempio di temutissimo browining out. Per ora ancora qualche protocormo verde resiste, ma è circondato da una landa desolata cosparsa di compagni caduti nello sforzo della germinazione.
A quanto pare nessuno, anche i più esperti, è ancora riuscito a capire bene da cosa sia provocato. Pare che l'aggiunta di banana al composto aiuti a prevenire il fenomeno.
Io temo che in questo caso la moria possa essere stata causata da condizioni ambientali. I vasetti erano sul davanzale della finestra, ed effettivamente nelle ultime settimane la temperatura serale ha iniziato a scendere alla sera, e temo che questi sbalzi di temperatura possano essere stati fatali.
Ora i vasetti sono stati posti nell'"icubatrice". Vediamo se riusciamo a salvarne qualcuno.

Aggiornamento Bletilla


Un rapido aggiornamento sulla bletilla striata dell'orto botanico di Padova piantata a metà agosto. I primi semi a germinare ora hanno già emesso una o più foglie. Anche il resto dei semi ha iniziato a germinare. Le differenze nella velocità di germinazione sono state notevoli. Ma effettivamente mi sembra di ricordare di aver forse piantato semi provenienti da baccelli differenti negli stessi vasetti. Alcuni baccelli erano più maturi di altri e i semi erano probabilmente in stati di dormienza diversi.
I vasetti sono stati sul davanzale della finestra fino a qualche giorno fa. Poi, notando che alcuni steli iniziavano un po' a incurvarsi verso la sorgente luminosa, ho ritenuto che la luce non fosse sufficienti e ho messo tutto nella scatola in plexiglass con luce artificiale. Da quel momento le piantine (alcune si possono ormai già chiamare così effettivamente) hanno iniziato a venire su belle dritte, ma la crescita apparentemente ha rallentato un po'.

Frutta Tropicale


Non è una foto provocatoria. Sono solo gli ingredienti di alcuni nuovi substrati per la germinazione asimbiotica delle orchidee che sto provando.
Al centro il più classico dei substrati, il Phytamax da germinazione, ai lati, non hanno certo bisogno di presentazioni, cocchi e banane.
Se ne parla un po' ovunque, sui testi riguardo la germinazione dei semi di orchidea, gli additivi. Ci mettono dentro un po' di tutto: succo di pomodoro, succo d'ananas, rape, patate. Un vero e proprio minestrone. L'idea di fondo è che all'interno di frutta e tuberi vi siano particolari ormoni e sostanze che, così come aiutano a far germogliare il proprio germe, possano stimolare anche lo sviluppo e la crescita dei semi di orchidea.
Gli additivi più comunemente usati sono appunto latte o acqua di cocco e banana.
Ed eccoci qua. Due cocchi e due banane.
In realtà non c'è molta chiarezza su cosa si intenda effetivamente per latte di cocco, se il liquido all'interno dei cocchi ancora verdi, l'acqua all'interno del cocco che si trova normalmente al supermercato, o se il misto di polpa grattugiata e spremuta che si usa nella cucina del sud-est asiatico. I cocchi da supermercato in realtà sono ancora in grado di germinare come mi successe anni addietro, quindi se l'acqua all'interno di quelli marroni e secchi che si trovano in commercio contengono sostanze di stimolo alla germinazione, date le giuste condizioni ambientali, queste dovrebbero in teoria andare bene anche per le orchidee. Almeno secondo un ragionamento logico che potrebbe però non avere alcun riferimento alla realtà.
Stesso discorso per le banane.
Il substrato preparato è stato dunque il seguente:

-Dose di Phytamax per un litro dimezzata e usata per un litro di acqua demineralizzata.
-Aggiunta di zucchero e agar per riportarli ai valori iniziali. In questo caso 10g di zucchero e 3,5g di agar.

Il substrato così preparato è stato diviso in due e addizionato, una metà con 50ml di acqua di cocco, l'altra metà con 50g di banana frullata.

Messo nei vasetti il substrato è stato poi sterilizzato come sempre per circa 15/20 minuti in pentola a pressione.
Unico dubbio resta sul PH del substrato addizionato di banana che, data la vischiosità del liquido ottenuto, non sono riuscito a misurare con la cartina tornasole. Il timore è che sia virato al basico. Quello ideale per la germinazione è compreso tra 5 e 5.5.
Nei due substrati sono stati seminati semi di phalaenopsis e di bletilla. Altri semi sono stati impiantati su substrato non diluito e non addizionato, così da avere un riferimento. Il tutto posto in cassetta con illuminazione artificiale e fotoperiodo di circa 15 ore.

giovedì 25 agosto 2011

Una nuova bletilla

Questi sono i semi della bletilla presa a Padova e seminati da capsula verde il 13 agosto su substrato tipo phytamax dell'Orchid Seed Bank.
Ecco il risultato al 16 agosto:

I semi sono piuttosto grossi e già uno è diventato verde.
In realtà, a distanza di una settimana la germinazione non è proceduta molto. I semi che danno segni di vita sono rimasti pochi e per ora solo in una fiasca. Eccoli:

Chi ha fantastia, e fede nelle mie parole, riuscirà a "intuire" due foglioline microscopiche nell'ammasso giallo-verde al centro dell'immagine.
I semi che sono germinati sono pochi e per lo più spuntano dagli ammassi di semi che si sono accumulati sulla superficie del medium. Leggendo qua e là ho visto che per la bletilla, e per molte altre varietà, viene consigliato di usare il medium a metà della concentrazione. Forse sono germinati i semi che non erano a diretto contatto con il medium a concentrazione piena, trovandosi sopra i grumi di altri semi, e che vengono solo inumiditi per capillarità con le sostanze nutritive del substrato. Infatti sono germinati anche alcuni semi che erano sulla parete del vasetto "sporca" di medium diluito come si può notare nella prima foto sopra.
Vediamo come procede questa fiasca e le altre che ancora non danno segni di vita.

Notizie dall'ultima semina

La semina è stata effettuata il a fine luglio (il post relativo è del 22 luglio).
Di tutte le fiasche, solo quella con il medium fatto di recente con il vecchio preparato dell'Orchid Seed Bank sta dando segni di vita. Questa è un'immagine fatta il 16 agosto:


E questa invece un'immagine fatta il 25 agosto:



domenica 14 agosto 2011

Orchidee Spontanee in Trentino Alto Adige

Mi hanno recentemente regalato un libro sulle orchidee spontanee del Trentino Alto Adige.

"Orchidee spontanee in Trentino Alto Adide. Riconoscimento e diffusione"
Autore Giorgio Perazza
Mandrini editori

E' un libro fatto molto bene, con contenuti molto approfonditi ma scritto con un linguaggio estremamente chiaro e di facile comprensione.
Presenta schede per ciascuna specie con fotografie, dettagli morfologici e modalità di riconoscimento. Un perfetto manuale per appassionati di orchidee spontanee.
Nella parte iniziale vi è un'ampia sezione dedicata alle orchidee in generale. Si parla ovviamente anche della germinazione, con un capitoletto tra i più esaurienti che abbia letto.
Ne riportiamo qui alcuni brani che possono aiutare a comprendere meglio quali complesse dinamiche si inneschino durante la germinazione in natura e come nella coltivazione in vitro si cerchi di riprodurre artificialmente alcuni effetti e conseguenze di queste dinamiche.

"I piccolissimi semi di orchidea sono pressoché privi di sostanze di riserva per nutrire l'embrione il quale, una volta caduto nel terreno, deve trovare in altro modo il necessario alimento fin dal primo momento. Ciò non si verifica facilmente e nella stragrande maggioranza i semi non potranno germinare; ma, fra i tanti, almeno qualcuno atterra in luogo adatto, dove viene invaso dal micelio di un fungo, per lo più del genere Rhizoctonia.
Molto spesso il fungo porta il suo attaco in modo virulento e finisce col fagocitare il seme, ma in qualche caso quest'ultimo riesce a reagire con la sostanza antimicotica di cui dispone e a controllare l'azione del fungo digerendone (sembra) le parti che si spingono più all'interno ed alimentandosi del carbonio organico che riesce ad estrarvi. Si forma in tal modo un'endomicorriza, simile alla micorriza che si stabilisce tra gli alberi e alcuni funghi superiori. E' una simbiosi non del tutto amichevole perché i due organismi cercheranno di sopraffarsi vicendevolmente; però se l'embrione in fase di crescita dovesse consumare completamente il fungo rimarrebbe senza alimento e sarebbe condannato a perire. Perché l'orchidea possa crescere è indispensabile che si stabilisca un giusto equilibrio fra le due parti in lotta senza che né l'una né l'altra prenda il sopravvento: il fungo tenterà sempre di infettare per intero il micorrizoma che si va formando, mentre questo lo contrasterà digerendo il micelio e lasciandolo vivere soltanto nella parte esterna.
Il micorrizoma aumenta di volume a poco alla volta finché diventa capace di emettere un germoglio che emerge dal suolo sviluppando la prima foglia verde. La presenza della clorofilla mette ora la giovane orchidea in grado di nutrirsi da sola per mezzo della fotosintesi, divenendo indipendente o quasi dall'apporto di zuccheri fornito dalla simbiosi con il fungo che può venire ridotto o eliminato."

sabato 13 agosto 2011

Baccelli dall'Orto Botanico

Ed ecco qua i frutti, è proprio il caso di dirlo, del "furto" all'orto botanico di Padova. Sono quattro baccelli di Bletilla Striata e due di un'Epipactis della quale purtroppo non ho segnato e non ricordo la varietà.
Alcuni baccelli di Bletilla sono ormai secchi, anche se ben sigillati. Quelli di Epipactis invece si sono già aperti riversando fuori un grande quantitativo di semi minuscoli, cosa che mi costringerà alla solita, fastidiosa sterilizzazione prima della semina in vitro.

Quelli di Bletilla sono piuttosto grandi, molto più voluminosi di quello che si è sviluppato sulla mia Bletilla da balcone.
Prossimamente aggiornamenti sulla semina di queste due specie e sui loro sviluppi. Intanto è tempo di preparare un po' di substrato utilizzando ciò che avanza di una vecchia spedizione dell'orchid seed bank project.

mercoledì 3 agosto 2011

Una Gita all'Orto Botanico di Padova

Qualche giorno fa ho fatto una gità presso l'Orto Botanico di Padova.
A quanto recitano i pieghevoli informativi il più antico orto botanico universitario del mondo. Fu infatti fondato nel 1545 dalla Repubblica Veneziana, che allora governava sulla regione, per fornire uno strumento di studio e ricerca sulle erbe e piante curative della facoltà di medicina della prestigiosa Università di Padova.
Il luogo è molto affascinante, soprattutto per la vetustà della sua storia e della sua atmosfera, nonché di alcune delle sue immense piante, più che per la varietà e ricchezza delle sue collezioni che difficilmente reggono il confronto coi grandi e moderni giardini botanici internazionali. Comunque sicuramente merita una visita, magari da accompagnare a una delle attrattive di Padova: la Cappella degli Scrovegni, il Santo, piazza delle Erbe.

Ovviamente non potevano mancare le orchidee. Ve ne è un'intera serra dedicata che ahimé, come troppo spesso accade in Italia, non era accessibile il giorno della nostra visita.
Ve ne sono poi sparse qua e là nel giardino. Appese sotto una tettoia, in un lato del parco ombroso e umido, vi sono numerose ceste da cui si dipartono dei dendrobium coi tronchi spessi come manganelli, e fasci di radici aeree folte come una chioma. A terra su dei ripiani, dentro vasi di coccio, un gran numero di cypripedium di diverse varietà. Nessuno in fiore.

Più avanti, in un angolo di habitat umido, tra un gran numero di piante diverse, mi sembra di scorgere alcuni steli di quelle che paiono delle orchidee terricole. Hanno dei frutti che stanno per schiudersi. Alcuni sono già aperti. Effettivamente la polverina che ne esce mi convince che sono effettivamente piante di orchidacee. Guardo meglio tra i cartigli che riportano i nomi delle varie piante e scopro che è una Epipactis. Con gesto rapido ne prendo un paio di capsule e le avvolgo in un fazzoletto di carta. So che è una cosa che non dovrei fare ma ce ne sono talmente tante di queste capsule che non sarà la fine del mondo se anche ne stacco un paio.

Metre ci stiamo avviando all'uscita noto un paio di folti cespugli di foglie lanceolate che spuntano dal terreno. Guardo meglio e il cartiglio dice Bletilla Striata. Tra le foglie, numerosissimi steli portano ognuno dalle quattro alle cinque capsule. Mi stupiscono le dimensioni, ben più grosse rispetto a quelle della mia povera bletilla da balcone.
Alcune sono già secche e brune, ma ben chiuse. Altre ancora verdi, con delle striature rosso cupo. Anche qui ce ne sono talmente tante che non mi sento troppo in colpa a prenderne qualcuna.

Nei prossimi giorni posterò qualche aggiornamento sulla semina di queste piante da ptrimonio dell'umanità UNESCO.

venerdì 22 luglio 2011

Nuova semina phalaenopsis

Le vacanze si avvicinano e per evitare di ritrovarmi con la capsula aperta e i semi da sterilizzare (un'operazione in più da compiere durante la semina) ho optato per anticipare un po'.
La foto, in luce naturale, mostra il colore della capsula di phalaenopsis 3 in modo più vicino possibile alla reatlà. Questa volta non ho segnato la data dell'impollinazione, ma a occhio direi che è stato un 4 mesi fa. Il verde ha apppena iniziato a virare verso il giallo.
E infatti, una volta aperta nella cappa sterile, è apparso subito un po' indietro. L'interno non era ancora lanugginoso come quando la capsula è pienamente matura.
La semina l'ho effettuata sui substrati avanzati dalle semine passate, un mix di Murashige e Skoog, Phytamax, OSP medium e substrato casalingo. Non so se vi sia una data di scadenza per i substrati e se i composti in essi contenuti si siano alterati con il tempo. Ad ogni modo non avevo voglia di darmi troppa pena di rimettermi dietro con pentole a pressione in questa stagione e poi di piantine di phalaenopsis 3 incrociate con banali ibridi commerciali ne ho già in abbondanza, che se anche questa semina non dovesse avere successo non mi darò poi troppa pena.

sabato 11 giugno 2011

Capsule Cymbidium Goeringi

La "gestazione" del cymbidium goeringi (shun-ran 春欄 in Giappone, terra da cui proviene), prosegue. L'impollinazione è stata effettuata a fine marzo e da allora le capsule hanno continuato a ingrossare con una certa regolarità e ora sono così grosse che danno più di un pensiero sulla resistenza dell'esile stelo che le sostiene. Per ora reggono nonostante i nubifragi di questi giorni.
Relativamente ai tempi di maturazione, stando al materiale che si trova in rete, per i cymbidium generici vengono dati 7-10 e più mesi il che la fa veramente sembrare una gravidanza...
Per ora le capsule sono di un bel verde brillante e in vero paiono dare l'impressione di voler crescere ancora un po'. Bisognerà magari vedere con quali temperature procederà la stagione.
Il quantitativo di semi che produrranno sarà davvero impegnativo da gestire nei vasetti di germinazione a volerne seminare il più possibile.
Certo che una riflessione sul perché i frutti/semi di orchidea ci mettano così tanto a maturare sorge spontanea. Verrebbe logico da pensare che un seme che ha praticamente solo il germe, dovrebbe metterci pochissimo ad essere pronto al rilascio nell'ambiente. L'evoluzione avrà sicuramente i suoi buoni motivi.

mercoledì 1 giugno 2011

Impollinazione Neofinetia

L'impollinazione della neofinetia falcata sembrerebbe essere andata a buon fine. Si nota nella foto come il fiore più in basso stia avvizzendo e al contempo la relativa capsula ha preso lentamente a ispessirsi colorandosi di un bel verde tenue, come è evidente nel confronto con gli altri fiori candidi che gli stanno sopra.
Presa l'inverno 2009, la neofinetia era cresciuta molto, mettendo moltissime radici, moltissime nuove foglie e getti laterali ma nessun fiore.
Quest'anno, dopo il solito, necessario inverno al fresco, le ho cambiato posizione, spostandola su di un balcone con esposizione sud-est, moltissima luce ma non esposizione diretta nelle ore più calde della giornate poiché riparato dal balcone sovrastante. Posizione ideale che sta dando ottimi risultati anche con le sediree e i dendrobium moniliformi.
Infatti, prendendomi alla sprovvista, un mesetto fa ha emesso dal folto del cespo, uno stelo floreale che, davvero in poco tempo, si è esteso, ha gonfiato i boccioli ed infine è fiorito.
I fiori sono molto piccoli, meno di 2 cm, caratterizzati da un lungo sperone arquato sul retro, dove penso che sia contenuto il nettare, ricompensa per gli impollinatori che credo siano farfalle o meglio falene notturne dalla lunghissima proboscide.
Dico falene perché è solo dall'imbrunire che i fiori di neofinetia producono il loro intensissimo profumo, qualcosa che si colloca molto vicino ai profumi del gelsomino, yukka, magnolia.

Le sacche polliniche sono molto piccole. Le si intravedono nella foto sopra, i due piccolissimi puntini gialli che si notano in trasparenza sotto la membrana opalescente al centro del fiore.
Si staccano facilmente, hanno un piccolissimo peduncolo adesivo che però non trattiene molto i due granelli che si staccano con facilità. Occorre fare molta attenzione a non perderli in giro perché sono davvero minuti. L'ideale è lavorare su di una superficie scura, non troppo dura e liscia che non permetta loro di rimbalzare e rotolare via.

L'immagine sopra mostra le due sacche polliniche molto ingrandite sulla trama di un tessuto scuro.
La collocazione del polline nel pistillo è invece semplice. Vi è una sostanza viscosa che fa aderire subito il polline.
Ho tentato anche una prova di impollinazione interspecie, mettendo del polline di neofinetia in un fiore di phalaenopsis commerciale. L'incrocio pareva essere andato a buon fine. In breve l'apertura del pistillo si era richiusa sulle sacche polliniche ma poi qualche giorno dopo il fiore è avvizzito ed è caduto. Credo sia stato un problema di incompatibilità genetica. In realtà pare che esistano piante di cosiddetta phalaenetia, incrocio tra phalaenopsis e neofinetia. Sarà un esperimento da riprovare in futuro.
L'auto-impollinazione invece a quanto pare sembra essere andata a buon fine.
Ora restano da capire i tempi di maturazione della capsula che, data la velocità con cui si sono sviluppati i fiori, potrebbero anche essere inferiore ai 5 mesi che ho visto riportati su alcuni siti.
E poi ci sarà da capire il tipo di medium da usare per la germinazione, anche se pare che i substrati per le epifite, cosà che la neofinetia effettivamente è anche se non propriamente tropicale, vadano bene.

sabato 21 maggio 2011

Sfiascamento in semi-idroponica

Dopo un doveroso periodo di sperimentazione, credo di poter incominciare a trarre qualche conclusione su di un metodo di coltivazione che si va progressivamente affermando tra gli appassionati orchidofili. In questo post non si parlerà però della coltivazione ordinaria, per la quale si trova ormai parecchio materiale informativo ed esperienze anche in rete, ma per quello che invece concerne l'applicazione alla riproduzione in vitro delle orchidee, in particolare in quel delicato momento rappresentato dal trasferimento dall'ambiente protetto e asettico della fiasca all'ambiente esterno, con il trapianto dal gel nutritivo a un nuovo substrato di coltivazione.
Nonostante avessi letto da qualche in parte in rete che il sistema semi-idroponico non era consigliato per i trapianti da fiasca ad abiente esterno, i risultati ottenuti sono stati talmente positivi da convincermi a trasferire progressivamente tutte le plantule in vasi che adottano questo metodo.

Il sistema è presto detto. Il metodo di cultura semi-idroponico utilizza un medium interte, nel mio caso ho utilizzato argilla espansa e/o lapillo vulcanico. Materiali che, a differenza dello sfagno, sono di facilissima reperibilità e bassissimo costo. La pianta viene messa in un vaso riempito con questo medium che deve rimanere immerso per alcuni centimetri in acqua. In rete ho visto alcuni sistemi che utilizzano vecchie bottiglie pet, tagliate, su cui vengono praticati dei fori a uno/due centimetri dal fondo del contenitore così da creare sul fondo una sorta di serbatoio di acqua che quando è in eccesso esce da queste aperture praticate.
Io in realtà utilizzo un sistema più semplice e secondo me più pratico e funzionale (vedremo poi perché), cioè semplici vasi di plastica posti su un sotto vaso abbastanza fondo così da fare da riserva d'acqua per il medium e quindi la pianta.

La foto sotto mostra una piantina di pochi millimetri di apertura fogliare. Proviene da una fiasca problematica, di piante abbastanza deboli per un esaurimento di un substrato casalingo. Il sistema radicale non era molto ben sviluppato e molte piante nella fiasca, più volte ripicchiettata, stavano morendo. Così ho deciso di trapiantare e di fare una prova con il semi-idroponico.

A distanza di meno di un mese da quando è stata ripicchiettata su lapillo vulcanico sta iniziando ora a crescere una nuova fogliolina, la si vede al centro. Per vedere un risultato analogo su sfagno ci sarebbero voluti mesi.

Questa immagina mostra invece una ripicchiettatura ancora più recente di piante sane. La nuova radice ha iniziato a svilupparsi con ancor maggiore rapidità e vigore.

In ques'altra si nota come la radice sviluppatasi nel substrato di agar, una volta messa in idroponica abbia continuato a crescere senza interruzioni. La parte di maggior diametro e ricoperta di villi chiari è quella cresciuta nel gel, la parte più affusolata e verde chiaro è la parte cresciuta nel substrato. Normalmente nelle plantule di phalaenopsis poste in sfagno o corteccia, le radici cresciute in gel arrestano la crescita fino a quando nuove radici, adatte al nuovo substrato, crescono, il che accade dopo parecchio.

La crescita della pianta in semi-idroponica è molto rapida come si può notare in questa pianta di phalaenopsis sfiascata alcuni mesi fa. Le ultime due foglie sono quelle che ha emesso in rapida successione da quando è stata sfiascata in un mix di argilla espansa e lapillo vulcanico.

In conclusione, un rapido confronto dei vantaggi riscontrati nello sfiascamento delle piantule di phalaenopsis in semi-idroponica rispetto allo sfagno.

1. Riduzione dello stress da cambio di substrato. La pianta continua a crescere, anzi spesso accellera la crescita dal momento in cui viene posta in semi-idroponica.

2. I molti villi radicali che si sviluppano nell'ambiente ad alta umidità della fiasca normalmente avvizziscono in sfagno o corteccia, mentre in semi-idroponica paiono mantenere la propria funzionalità.

3. Bassissima, quasi irrilevante, mortalità delle plantule che invece negli altri substrati rappresenta una percentuale considerevole. In particolare con lo sfagno è molto difficile mantenere il giusto grado di umidità e spesso si rischiano estremi opposti con rischi di marciume quando troppo bagnato o di avvizzimento quando troppo asciutto. In particolare, con lo sfagno è difficile mantenere un livello di umidità costante.

4. Rapida e costante crescita fogliare.

Per concludere direi che un metodo di sfiascamento/coltivazione non è migliore degli altri in senso assoluto, ma relativamente alle specifiche condizioni ambientali (umidità e temperatura soprattutto) da zona di coltivazione a zona di coltivazione e dalle specifiche idiosincrasie del coltivatore, che può o meno avere la possibilità di tenere alla giuste condizioni, per un particolare tipo di substrato, le piante.

La fertilizzazione avviene a quasi ogni annaffiatura con un normale concime con microelementi e a basso tenore di azoto ureico per cercare di contenere accumuli salini nel substrato, cosa che stando a tutti i testi di coltivazione va evitato. Il fertilizzante viene diluito a meno della metà della concentrazione consigliata, in 2/3 di acqua distillata e 1/3 di acqua di rubinetto.
Ogni paio di settimane i vasi vengono abbondantemente risciacquati in acqua corrente. E qui entra in gioco il vaso. Utilizzando normali vasi in plastica aperti sotto, il risciacquo credo avvenga in maniera più completa rispetto ai vasi chiusi con fori a metà vaso che mantengono un serbatoio fisso.

domenica 15 maggio 2011

Che fine ha fatto il keiki

Credo di non andare troppo fuori tema a mostrare una fioritura. In fondo un keiki è pur sempre un metodo di riproduzione asimbiotica.
Si tratta di un aggiornamento della Palaenopsis 3. I keiki erano spuntati nell'autunno 2009. Dapprima lentamente, avevano poi dato una certa accellerata nello sviluppo, e anzi avevano dato luogo a steli floreali autonomi mentre ancora erano attaccati alla pianta madre, creando un effetto davvero "spettinato" nell'insieme. Gli steli floreali tuttavia avevano mostrato scarsa forza tanto che nessuno era giunto a fioritura.
Così circa 3 mesi fa ho provveduto a rimuoverne uno e più recentemente altri due. Il terzo è ancora attaccato alla pianta madre. E' infatti l'unico che è riuscito a portare a fioritura lo stelo che aveva prodotto e avendo impollinato con successo uno dei fiori, adesso ho timore che a rimuoverlo possa far cadere la capsula.
Ad ogni modo i primi tre distacchi sono andati molto bene. Ormai credo di aver trovato il sistema di allevamento definitivo per le phalaenopsis, sia per le defiascature delle plantule (nuovi post di approfondimento a riguardo sono in arrivo), sia per la normale coltivazione. Si tratta della cultura semi-idroponica. Dopo alcuni tentativi con l'argilla espansa, sono ora passato al più stabile lapillo vulcanico. Quanto prima proverò alcune sperimentazione di semi-idroponica su sedirea e neofinetia.
Ad ogni modo gli effetti sono stati notevoli anche con i keiki. Il primo trapiantato che era già abbastanza grosso con una radice già abbastanza lunga ha subito sviluppato nuove radici, ha ulteriormente ingrandito le foglie e ha emesso uno stelo floreale che nel giro di 2-3 mesi ha portato a fioritura i due fiori che si vedono nella foto sopra. Un altro keiki in semi-idroponica, per ora sistemato nell'intercapedine di un doppio vetro, sta sviluppando nuove radici e uno stelo floreale dal moncone di un prcedente stelo. L'ultimo ad essere stato trapiantato, posto in serra ad alta umidità, ha emesso una nuova foglia e uno stelo completamente nuovo sebbene le dimensioni della pianta siano ancora piuttosto contenute, non più di una decina di centimetri sull'asse più lungo delle foglie.
Lo sviluppo dei keiki non è proprio il più esaltante dei metodi di riproduzione asimbiotica per orchidee in quanto le piante che ne derivano sono tutte identiche alla pianta madre e non vi è quindi l'aspettativa del vedere un nuovo ibrido. Comunque, vederne uno a fioritura è pur sempre una soddisfazione.

mercoledì 20 aprile 2011

Impollinazione decisamente riuscita


Impollinazione incontrovertibilmente riuscita per il nostro shun-ran (cymbidium goeringi).
La cosa singolare, per noi che non abbiamo di meglio da stupirci nella vita, è che il fiore impollinato dura molto di più di quello non impollinato, come si può notare dalla foto sopra. Quello più a sinistra è avvizzito ripiegandosi su se' stesso, mentre i due di destra non solo sono più belli che mai, ma il loro stelo ha incominciato ad allungarsi dando maggiore visibilità al fiore che senza "collo" era decisamente modesto, tanto più che non è che abbia colori propriamente sgargianti.
Nel frattempo, come si evince dalla foto sotto, l'attaccatura del fiore ha iniziato a gonfiarsi formando la capsula.

Restano ora i dubbi sui tempi di maturazione della capsula che, a quanto si apprende, per i cymbidium ibridi commerciali, è di quasi un anno. A giudicare dalla rapidità con cui si sviluppa, per questa orchidea semi-selvatica, i tempi potrebbero essere più corti.